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Emanuela Orlandi, caso riaperto.

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view post Posted on 23/6/2008, 20:01     +1   -1
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fonte roma città.it

Caso Orlandi, secondo la superteste la ragazza fu tenuta prigioniera in un appartamento di Monteverde

Secondo la testimone ascoltata dai pm romani, Emanuela Orlandi, prima di essere uccisa e fatta sparire in una betoniera di Torvajanica, fu tenuta prigioniera in un appartamento di Monteverde, nei pressi di piazza San Giovanni di Dio. La testimone avrebbe anche partecipato a numerosi spostamenti della ragazza prelevandola dalla sua prigione, e l'avrebbe anche accompagnata dalla zona del Gianicolo ad un incontro in Vaticano con un uomo, da lei indicato presumibilmente come "un sacerdote", a bordo di una Bmw.

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ma qui ho trovato un' articolo interessante
È stato un lampo. Un improvviso bagliore che ha illuminato per pochi istanti uno scenario dove la sparizione di Emanuela Orlandi avvenuta 22 giugno 1983 sembra acquistare un senso preciso e agghiacciante. Procediamo per gradi.

Nella precedente puntata della nostra inchiesta pubblicata lo scorso 6 giugno, eravamo arrivati a dei punti fermi. Sinteticamente: tra le 15 e 30 e le 16.00 del giorno della sparizione, Emanuela viene vista (e successivamente riconosciuta) da due persone, un vigile urbano e un poliziotto, davanti a Palazzo Madama mentre parla con un tizio, poi descritto come un "biondino, stempiato, corporatura snella, età tra i 35 e i 40, viso abbronzato, altezza vicina a un metro e ottanta".Il vigile ricorderà che mentre "il biondino" si sta per allontanare a bordo di una BMW giardinetta (vernice metallizzata, colore verde) rivolgendosi alla ragazzina, dice: «Ciao, ci vediamo dopo».

La giovane, durante una pausa delle lezioni di musica al Conservatorio che quel pomeriggio sta seguendo, telefona a casa e avvisa di avere un appuntamento all'uscita con un tale che le ha offerto un lavoro di pubblicizzazione di profumi a una sfilata di moda promettendole per questa attività ben 375.000 lire.

La sorella, da casa, cercherà di dissuaderla, ma Emanuela la avverte che andrà in ogni caso a quell'incontro, casomai con due sue amiche. Alle 18.00, terminate le lezioni, Emanuela e due altre ragazzine raggiungono la fermata dell'autobus 71 attendendo che arrivi "l'uomo dei profumi", che però non si fa vedere. Alle 18 e 45 le due amiche salgono sul bus che le porterà a casa.

Emanuela a questo punto - sulla scorta della testimonianza di un altro poliziotto in servizio di guardia al Senato - torna davanti a Palazzo Madama dove c'è in attesa un'auto sulla quale la guardia la vede salire di spontanea volontà mostrando in quegli attimi anche una tranquilla confidenza con chi è al volante, che però l'uomo delle forze dell'ordine non riesce a vedere bene e quindi a descrivere. Fine.

Questa è l'ultima prova testimoniale certa di Emanuela Orlandi in vita. A quarantotto ore dalla scomparsa, quando ancora la notizia non è di dominio pubblico, si attivò nella ricerca (spontaneamente, senza ordini superiori) un agente del Sisde, amico personale degli zii della ragazza.

In pochi giorni, che diventeranno poche settimane fino al momento in cui il Servizio segreto gli ordinerà di sospendere tutto trasferendolo - in maniera punitiva - ad altro reparto, questo agente svolse un'indagine ficcante. Il suo obbiettivo era di riuscire a "mettere le mani" sul primo "anello", sulla prima o sulle prime persone che con tutta evidenza avevano adescato Emanuela facendola cadere in una trappola. Perché "trappola"? Semplice: questo agente riuscì subito a dimostrare che "il biondino" aveva raccontato alla ragazza una serie micidiale di fandonie: non era vero che quella casa di profumi (la Avon) avesse intenzione di darle un lavoro di pubblicità, era del tutto inventato l'evento (una sfilata della casa di mode Sorelle Fontana) nel quale Emanuela avrebbe dovuto "lavorare", stando alle parole di quel losco individuo.

Così pure non ci sarebbe stata alcuna manifestazione a Palazzo Borromini a Roma che viceversa "il biondino" aveva indicato a Emanuela come il luogo dell'attività retribuita con 375.000 lire. Non era vero niente, quindi. A Emanuela erano state raccontate una serie di menzogne che associate alla scomparsa diventavano con tutta evidenza la traccia principale da seguire. E tuttavia non accadde.

L'ultima azione operativa che compì questo agente segreto in merito al caso Orlandi (prima di venire bloccato dai suoi superiori) fu di arrivare forse "a un passo" dall'individuazione dell'auto con la quale "il biondino" aveva adescato la ragazza quel pomeriggio fra le tre e le quattro.

Il detective aveva chiesto alla sede centrale della Bmw di Verona l'elenco di tutte le auto di quel modello e di quel colore vendute negli ultimi anni in Italia. La Bmw gli fece avere - subito - un tabulato con circa 150 vetture. Le controllò tutte. Ed ecco che dopo una serie di tentativi a vuoto, il detective incappò in un caso interessante. Un dipendente di un'officina autorizzata Bmw della capitale gli segnalò che tempo prima - certamente dopo la scomparsa di Emanuela - una "tizia" era venuta a far aggiustare una vettura identica a quella cercata. Aveva il vetro del finestrino anteriore destro frantumato, ma nessun altro danno.

Il carrozziere si era stupito perché questa signorina aveva raccontato che l'auto non era sua ma di un suo amico, ma documenti a bordo non ce n'erano. In ogni caso, quella strana cliente aveva lasciato indirizzo e telefono: quelli del Residence Manlia di Roma.

L'agente si precipitò lì e riuscì subito a parlare con la donna, viveva ancora in quella casa-albergo, ma: «La ragazza, appariscente, fin troppo, fisico muscoloso, notai anche i suoi polpacci "scolpiti", quelli di chi fa sport non saltuariamente, si rifiutò con veemenza di rispondere a qualsiasi domanda. Anzi, mi chiese chi ero io per porglierle. Me ne andai, le dissi che sarebbe stata chiamata in questura dato che non voleva fornirmi un semplice ragguaglio. Le avevo chiesto solo di chi era l'auto che aveva fatto aggiustare a quell'officina, niente di più». Questo ricorda l'agente del Sisde (da anni è un ex agente, lavora presso un ministero in tutt'altra mansione). Torniamo ai fatti. Il pomeriggio dello stesso giorno, rientrato in ufficio, questo detective ricevette una colossale "lavata di capo" per avere "importunato" quella giovane donna. Cosa era accaduto?

La ragazza aveva preso nota della targa dell'auto dell'agente e l'aveva riferita a un "pezzo grosso", un suo amico, della questura. Accertare che non si trattava di un mezzo della polizia era stato facile, meno facile, anzi, stupefacente l'immediato sviluppo: quel "pezzo grosso" aveva parlato con Emanuele De Francesco, direttore del Sisde, che a sua volta aveva preso contatto con il diretto superiore (il dottor Criscuolo, capo centro) di questo "detective ficcanaso" che quindi venne chiamato a rapporto e riempito di improperi. In ultimo, fu stilata sanche una nota di demerito "per avere compiuto accertamenti non opportuni sul caso Orlandi"!

Mentre a Roma tra luglio e agosto del 1983 accadevano questi fatti, la magistratura stava anche dando la caccia (che continuerà per tutto il 1984 fino all'arresto in dicembre) al gangster della banda della Magliana Enrico De Pedis, detto Renato. Il boss era latitante, era colpito da mandato di cattura in quanto accusato di nefandezze d'ogni tipo: traffico di droga, omicidi, traffico di armi, riciclaggio, mafia, perfino usura assieme ai suoi temibili "soci", i cravattari di Campo dei Fiori. Il clan De Pedis era - e in parte lo è tutt'oggi - anche proprietario (fra le tante attività) di diversi ristoranti- pizzeria nel centro storico di Roma, alcuni situati nel quartiere di Trastevere.

Ebbene, qualcuno parlò. No, non fu una spiata in senso stretto, semmai una notizia arrivata all'orecchio degli inquirenti che però porterà le indagini sulla strada giusta. Il boss ha un'amante, spifferò un informatore, e non si tratta di una donna qualsiasi, è la moglie di un notissimo calciatore della Lazio.

La donna venne seguita per mesi, e alla fine il gangster cadde in trappola. L'avvenente figliola l'aveva raggiunto in un appartamento di via Vittorini 63 nel cuore di Roma, ma alle sue spalle in quella casa entrò un nugolo di agenti sorprendendo De Pedis che finì in manette.Ora fate attenzione: il 17 ottobre 1983 alla sede di Milano dell'Ansa arrivò per posta una lettera anonima sulla scomparsa di Emanuela Orlandi. Nell'ultima parte dello scritto - riferì l'Ansa - l'autore faceva cenno al calciatore Spinozzi della Lazio, che avrebbe conosciuto sia Emanuela Orlandi che un certo "Aliz" e che quindi saprebbe molto della vicenda. Aliz, spiegava il misterioso autore della missiva, avrebbe ucciso Emanuela e ne avrebbe occultato il cadavere.

All'indomani di queste notizie, la società Lazio, il calciatore e tutta la squadra protestarono vivacemente per la diffusione di questo messaggio anonimo, che giudicarono delirante. Anche gli inquirenti ritennero la lettera priva di fondamento, e lo stesso calciatore, il terzino Arcadio Spinozzi, nella conferenza stampa che venne immediatamente indetta dalla società calcistica negò ogni coinvolgimento personale nel caso Orlandi, dichiarando: «La lettera è opera di un folle intelligente che ha scelto bene la sua vittima.

Sono sufficientemente conosciuto, ma non come altri miei compagni di squadra, sono scapolo, e il 22 giugno ero uno dei pochi ad essere a Roma». È molto probabile che Spinozzi non sapesse che la giovane moglie (aveva 23 anni nel 1983) del leader della sua squadra era l'amante del capo della banda della Magliana e vedeva il boss nel frattanto latitante, ma chi scrisse quella missiva altrettanto probabilmente sì, e soprattutto sembrava sapere dell'altro, cioè che la fanciulla era invischiata in un particolare genere di "giro" che verrà alla luce solo anni dopo. Quale? Vediamo.

Tra la fine del 1988 e l'inizio del 1989 la magistratura aveva fatto mettere sotto controllo alcuni telefoni intestati a società i cui amministratori risultavano dei prestanome dei boss della Magliana, di De Pedis e di altri sgherri. Ascoltando e registrando, le forze dell'ordine scoprirono qualcosa che non stavano cercando. Anziché di soldi sporchi, di droga e armi, le conversazioni erano centrate su tutt'altri traffici: si trattava di prostituzione, di un giro di prostitute slave e minorenni.

La persona che sembrava essere coinvolta direttamente in questa porcheria, ovvero colei che parlava di queste cose ai telefoni sotto controllo, era proprio quell'amante di De Pedis, la donna che involontariamente nel 1984 lo aveva fatto finire in carcere. Stando alle intercettazioni, era attivo un vastissimo giro di prostituzione tra la Toscana e Perugia con una clientela anche romana di alto rango. Vennero individuati anche alcuni appartamenti dove lo squallido mercato di sesso aveva luogo nel capoluogo umbro.Ora capite cos'è "il lampo" di cui ho parlato all'inizio?

Alla luce di queste scoperte, oggi, rileggendo quel messaggio che nell'83 sembrò privo di fondamento e "delirante", esso appare come un terribile avvertimento in codice. Il classico "avviso" a Tizio perché Caio capisca? Cosa poteva significare, quindi? Che in qualche modo la banda della Magliana aveva a che fare con il sequestro di Emanuela Orlandi?

Così, riflettendo su queste notizie, assume una straordinaria rilevanza un infinitesimo dettaglio: pochi giorni dopo la scomparsa, telefonarono - l'avete già letto nella precedente puntata - a casa della sua famiglia due giovani, un certo "Mario" e un certo "Pierluigi". Le chiamate vennero registrate da chi parlò con loro, lo zio della ragazza. Ebbene, l'accento dialettale di entrambi era quello classico dei trasteverini, e i rumori di sottofondo delle due telefonate erano quelli tipici di un ristorante romano affollato, piatti, gente, camerieri vocianti. Proprio quel genere di locali che De Pedis possedeva a Trastevere, la cui "parlata" aveva tradito gli anonimi interlocutori. Arrivato a questo punto, capite, il quadro che si viene delineando è terribile. Emanuela cade nella trappola di un adescatore "professionista", non di un maniaco isolato.

Lei, come chissà quante altre ragazzine scomparse nel nulla - la casistica è sterminata - viene sì rapita, ma da un'organizzazione che si dedica a un mostruoso genere di "affari". È agghiacciante dover sottolineare che mai in tutti questi 15 anni - e dico mai - è stata fornita dai presunti "sequestratori" di Emanuela Orlandi una sola prova certa dell'esistenza in vita dell'ostaggio. Sono comparse fotocopie - questo sì - dei documenti in possesso della ragazza al momento della sparizione, ma ciò non significa altro oltre il fatto che chi le ha spedite, fatte ritrovare, ha avuto direttamente a che fare in modo paradossale con questo sequestro.

Anziché premurarsi di dimostrare che il rapito era vivo - fatto indispensabile affinché le richieste in ogni caso vengano esaudite - i sedicenti "sequestratori" riuscirono solo a provare di aver avuto in mano gli effetti personali della ragazza. No, non funziona così il meccanismo ferreo dei sequestri di persona a fine di lucro e a maggior ragione di altro, ad esempio lo scambio di prigionieri. Quindi? Fu un micidiale depistaggio per impedire che le indagini imboccassero la strada giusta venendo a scoprire orrori indicibili al cui confronto le già terribili gesta della banda della Magliana sarebbero apparse addirittura irrilevanti. Quale altro genere di "clienti" soddisfava questa holding criminale? Quali abominevoli appetiti saziava questa tremenda organizzazione?

Certo non è una novità che i boss della Magliana trafficassero in eroina, droga che veniva fornita loro da bande di narcos turchi in affari anche con Cosa Nostra. Sì, proprio i Lupi Grigi di Alì Agca facevano arrivare l'eroina ai gangster della Magliana. Non è difficile ipotizzare che qualcuno possa avere offerto loro un'arma - le povere cose di Emanuela Orlandi e qualche smozzicato ricordo captato dai suoi veri sequestratori - per ricattare il Vaticano e lo Stato italiano e contemporaneamente "tranquillizzare" il sicario di piazza San Pietro, sulla cui testa pendeva l'ergastolo. Quell'arma venne fornita, però, senza il "colpo" principale: una, solo una qualsiasi prova certa che dimostrasse che Emanuela era viva.

Emanuela Orlandi frequentava una scuola di musica a piazza Santa Apollinare a Roma, in territorio vaticano. Quel giorno, uscì dalla lezione dieci minuti prima del previsto, telefonò alla sorella maggiore riferendole che le era stato proposto un piccolo lavoro di volantinaggio per la Avon (azienda di cosmetici) ad una sfilata di moda pagato esageratamente (circa 375.000 lire).

La sorella le disse di non prendere in considerazione l'offerta, Emanuela rispose che ne avrebbe parlato con i genitori e riattaccò, questo fu l'ultimo contatto che ebbe con la famiglia.
Dopo la telefonata, incontrò un'amica, uscita anch'essa dalla lezione a cui chiese consiglio su cosa fare a proposito di quel lavoro. L'amica senza sbilanciarsi troppo la accompagnò alla fermata dell'autobus che l'avrebbe ricondotta a casa, dove, secondo la testimonianza di un vigile urbano, avrebbe parlato con un uomo alla guida di una BMW verde sulla quale, forse, sarebbe salita.

Dopo le prime, infruttuose ricerche, condotte direttamente dalla famiglia (le forze dell'ordine avevano infatti inizialmente pensato ad una scappatella), cominciano le telefonate.

Si tratta principalmente di sciacalli e mitomani, ma il 25 giugno, si apre una pista importante: la telefonata di un uomo, che si identifica come "Pierluigi" e parla un italiano senza inflessioni dialettali, racconta che la propria fidanzata avrebbe incontrato in Campo dei Fiori, due ragazze. Una delle due, che diceva di chiamarsi Barbara, vendeva cosmetici ed aveva con se un flauto. Un amico le aveva consigliato di suonare in pubblico ma "Barbara" si vergognava dei suoi occhiali, che usava per suonare.

Per la famiglia Orlandi, si apre uno spiraglio di speranza: Emanuela, infatti, si era sempre vergognata dei propri occhiali, e suonava il flauto. In una seconda telefonata, 3 ore piu tardi, "Pierluigi" aggiunge un altro particolare significativo: gli occhiali della ragazza sono "a goccia, per correggere l'astigmatismo".

Il giorno successivo, una nuova telefonata. "Pierluigi" afferma di avere 16 anni, e di trovarsi in un ristorante di una località marina, insieme ai propri genitori, ed aggiunge che "Barbara" avrebbe dovuto suonare il flauto al matrimonio della sorella, ma non fornisce elementi per rintracciare la ragazza e rifiuta un appuntamento in Vaticano che lo zio di Emanuela gli chiede.

Due giorni dopo, altra telefonata, altra persona. Mario, che sostiene di avere 35 anni, afferma di aver visto un uomo con due ragazze, che vendevano cosmetici. Una delle due ragazze dice di chiamarsi "Barbara" e di essere di Venezia.

Potrebbe essere Emanuela? Pierluigi e Mario si conoscono? Potrebbero far parte di una stessa organizzazione? I dubbi si affollano nella mente dei genitori, quando arriva una seconda telefonata di "Mario", il quale afferma che "Barbara" gli avrebbe raccontato di essere fuggita volontariamente da casa, cosa assolutamente poco plausibile secondo l'opinione dei genitori.

I due telefonisti perdono quindi credibilità agli occhi dei genitori: si tratta forse di sciacalli? Mentono? Delle pedine manovrate da altri? Sicuramente da escludere che si tratti di comuni rapitori, i quali avrebbero tutto l'interesse a dare una prova certa di avere in mano l'ostaggio, al fine di chiedere un riscatto.

Fino al 5 luglio, di Emanula Orlandi, non si saprà piu nulla.

Collegamenti con l'attentato a Giovanni Paolo II

È il 5 luglio, quando nella sala stampa vaticana squilla un telefono. All'altro capo del telefono c'è un uomo, che parla con uno spiccato accento straniero (ribattezzato dalla stampa "l'Amerikano"), e facendo riferimento alla scomparsa di Emanuela Orlandi, auspica l'intervento del pontefice, Giovanni Paolo II. Chiama in causa Mehmet Ali Agca, l'uomo che aveva sparato al Papa in Piazza San Pietro, un paio di anni prima, chiedendo che sia liberato entro il 20 luglio.

Afferma di tenere in ostaggio Emanuela Orlandi, sostenendo che molti altri elementi sono già stati forniti da altri componenti della sua organizzazione, Pierluigi e Mario, ed esige l'attivazione di una linea telefonica diretta con il Vaticano. Un'ora dopo, l'uomo chiama a casa Orlandi, e fa ascoltare ai genitori un nastro con una voce di ragazza, che potrebbe essere Emanuela. Ma la registrazione potrebbe essere stata precedente alla scomparsa della ragazza.

Nei giorni successivi, l'uomo insiste affinché Wojtyla si muova per la liberazione di Ali Agca entro il 20 luglio, ma il Papa non ha alcun potere sull'autorità giudiziaria italiana, da cui la liberazione del killer turco dipende.

Il 17 luglio, viene fatto ritrovare un nastro, in cui si conferma la richiesta di scambio con Agca, la richiesta di una linea telefonica diretta con il Cardinale Agostino Casaroli, Segretario di Stato, e si sente la voce di una ragazza che implora aiuto, dicendo di sentirsi male. Alcuni giorni più tardi, in un'altra telefonata, "l'Amerikano" chiederà allo zio di Emanuela di rendere pubblico il messaggio contenuto sul nastro, e di informarsi presso il Cardinale Agostino Casaroli, riguardo ad un precedente colloquio.

In totale, le telefonate dell'"Amerikano" saranno 16, tutte da cabine telefoniche. Nonostante le richieste di vario tipo, e le presunte prove, l'uomo (che non sarà mai rintracciato) non apre nessuna reale pista da battere.

Collegamenti con lo scandalo IOR ed il caso Calvi

Secondo alcuni giornali, l'identikit dell'Amerikano, stilato dall'allora vicecapo del SISMI Vincenzo Parisi in una nota rimasta riservata fino al 1995, identificherebbe l'uomo con Paul Marcinkus, allora presidente dello IOR, la "banca" vaticana.

In molti pensano che: EMANUELA ORLANDI era incinta di un cardinale o qualcuno della chiesa.
Renatino de Pedis la fece sparire e per ricambiarlo lo hanno sepolto in una basilica
link articolo
 
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view post Posted on 27/6/2008, 15:36     +1   -1
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fonte tiscali

Il caso di Emanuela ancora insolutoOrlandi, De Pedis trasferito da Sant'Apollinare
La tomba di Enrico Renatino De Pedis non sarà più all'interno della chiesa di Sant'Apollinare. Lo ha annunciato il legale della famiglia dell'esponente di spicco della Banda della Magliana che si dice abbia avuto un ruolo nella sparizione di Emanuela Orlandi, avvenuta nel 1983, ed ucciso in un regolamento di conti nel 1990. Il polverone sollevato dalle polemiche seguite alle rivelazioni fatte da Sabrina Minardi sul caso di Emanuela Orlandi - che trovano i primi riscontri nella conferma dell'esistenza del sotterraneo presunta prigione - e sull'opportunità di seppellire De Pedis proprio in una basilicaa, ha indotto la famiglia di De Pedis a fare questa scelta.

Il corpo di De Petris sarà cremato e trasferito altrove - In una dichiarazione al Tg de La7, l'avvocato Lorenzo Radogna ha spiegato che "il corpo di Enrico De Pedis sarà cremato e trasferito dalla tomba dove è attualmente sepolto nella chiesa di Sant'Apollinare", senza fornire altre indicazioni sulla futura sepoltura. "E' questa - ha aggiunto Radogna - la volontà della famiglia, che dopo tanti anni intende mettere fine a questa storia". Ieri la famiglia De Pedis si era detta disponibile a concedere il consenso per l'ispezione e la riapertura della tomba e la riesumazione del corpo."Parli solo per amore di verità". I funzionari della squadra mobile di Roma, guidati da Vittorio Rizzi, a Sabrina Minardi durante un colloquio del marzo scorso sul caso Orlandi, per responsabilizzarla sulla necessità, davanti all'importanza e alla serietà della storia, di essere il più precisa possibile. Un invito, quello degli investigatori, che nasce evidentemente dalla consapevolezza dell'esistenza di alcuni riscontri a quanto già rivelato dalla donna. Gli inquirenti tengono a chiarirle che non deve raccontare per avere in cambio aiuti, vista la sua esigenza di conoscere quanto meno le procedure per ottenere una casa del Comune. L'invito sembrerebbe raccolto dalla Minardi che afferma di volersi pulire la coscienza. Ammette, invece, che avrebbe rilasciato un'intervista alla trasmissione Chi l'ha visto?, nel corso della quale avrebbe parlato di Roberto Calvi, anche per un secondo fine legato al bisogno di cercare un medico in grado di risolvere un suo problema di salute. Dopo alcuni giorni dall'intervista, la donna sostiene di essere stata convocata dalla Dia, nei cui uffici, a suo dire, non ci sarebbe mai entrata.
Si lavora sull'attendibilità della Minardi - Il lavoro sull'attendibilità di Sabrina Minardi si annuncia articolato: dovranno essere sentite le persone da lei citate come destinatarie delle sue confidenze sulla Orlandi; saranno svolti accertamenti sui personaggi indicati come coinvolti nel rapimento; sarà verificata l'esistenza dei luoghi d'incontro (ristoranti, case e così via) elencati dalla ex amante di Renato De Pedis. Quanto ai suoi racconti sugli episodi più importanti (quello del bar del Gianicolo o della betoniera di Torvaianica), tranne qualche particolare e tenendo ben presenti gli sballati riferimenti temporali, la donna ripete nella sostanza le stesse dichiarazioni.
Tutto da verificare il racconto sull'incontro con Emanuela - E' sulla descrizione di Emanuela Orlandi e sullo scambio di battute avuto con lei (quando la ragazza - secondo la Minardi - si trovata all'interno della Bmw color cipolla/grigio-rosa guidata dalla donna perché Renatino era ricercato) che la compagna del boss della banda della Magliana fornisce dettagli a più riprese la cui contraddittorietà o meno sarà stabilita da chi indaga. In un primo momento Sabrina Minardi afferma che vedeva dallo specchietto la giovane (dice di ricordare benissimo che indossava un pantalone, una maglietta e un giubbino di jeans), in stato confusionale, che si buttava sul sedile perché voleva dormire. La donna le avrebbe fatto i complimenti sulla chioma, dei bei capelli lunghi, ma la ragazza sembrava su un altro pianeta e, stando sempre alle dichiarazione rese agli inquirenti, continuava a chiedere "mamma, mamma, ma dove mi porti". Successivamente la ex amante di De Pedis sostiene che la giovane, alla quale avrebbero tagliato i capelli in maniera oscena ("un taglio tutto paro"), voleva andare da un certo Paolo.
Riscontri positivi sul sotterraneo della Gianicolense - Riscontri, invece, già ci sono sull'esistenza di sotterranei nel punto rivelato da Sabrina Minardi. A questo proposito, dice sia che arrivavano quasi fino al Vaticano sia che raggiungevano l'Ospedale San Camillo. La testimone - tecnicamente lo diventerà se ci sarà un processo - avanza anche ipotesi sulle motivazioni del sequestro (tra queste, l'errore di persone e il perserverare nel rapimento dopo aver visto il grande interessamento del Vaticano) e da' interpretazioni su alcune circostanze, come quella delle telefonate giunte a casa Orlandi: per la Minardi erano gli sciacalli perché De Pedis non si muoveva in questo modo. Quello che è certo, però, per lei, è che "Renato c'entrava proprio con tutte le scarpe nella storia di Emanuela Orlandi".
 
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view post Posted on 2/8/2012, 21:02     +1   -1
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Emanuela Orlandi? Forse ha ragione padre Amorth

Si fa un gran parlare in questi giorni di colui che è divenuto il quinto indagato per la scomparsa di Emanuela Orlandi, la quindicenne cittadina vaticana sequestrata nel 1983. Oltre ai quattro della banda della Magliana, infatti, nelle indagini figura un insospettabile. Un ecclesiastico: è monsignor Piero Vergari, rettore di Sant'Apollinare all'epoca dei fatti, rimosso dall'incarico nel 1991, un anno dopo aver perorato la causa dell'"indegna sepoltura" in Sant'Apollinare del boss "Renatino" De Pedis con una lettera al cardinal Poletti in cui descrisse il gangster romano come "grande benefattore".

Ne "L'ultimo esorcista", il libro che padre Gabriele Amorth ha scritto con Paolo Rodari (in libreria dallo scorso gennaio) Amorth conferma la pista vaticana, così:

NOTA SUL CASO ORLANDI di padre Gabriele Amorth

Non ci sono prove per dire che in Vaticano ci sia Satana, nel senso che non ci sono prove per dire che ci sono persone che in Vaticano svolgono riti satanici. Persone che sono volutamente schiave di Satana e che lavorano per instaurare il suo regno di buio, morte e distruzione in questo mondo. Io, almeno, non ho prove.

Però voglio dire due cose. La prima riguarda papa Paolo VI. È il 29 giugno 1972. È l’omelia per la festa dei santi Pietro e Paolo. Paolo VI se ne esce con questa terribile denuncia. Dice: «Ho la sensazione che da qualche fessura sia entrato il fumo di Satana nel tempio di Dio. C’è il dubbio, l’incertezza, la problematica, l’inquietudine, l’insoddisfazione, il confronto. Non ci si fi da della Chiesa... Si credeva che dopo il Concilio sarebbe venuta una giornata di sole per la storia della Chiesa. È venuta invece una giornata di nuvole, di tempesta, di buio, di ricerca, di incertezza... Crediamo in qualche cosa di preternaturale (il Diavolo) venuto nel mondo proprio a turbare, per soffocare, i frutti del Concilio ecumenico e per impedire che la Chiesa prorompesse nell’inno di gioia di aver riavuto in pienezza la coscienza di sé». E ancora, ecco cosa disse il 15 novembre 1972 durante l’udienza generale: «Uno dei bisogni maggiori della Chiesa è la difesa da quel male che chiamiamo demonio. Terribile realtà. Misteriosa e paurosa... Esce dal quadro dell’insegnamento biblico ed ecclesiastico chi si rifi uta di riconoscerla esistente... È il nemico numero uno, è il tentatore per eccellenza. Sappiamo che questo essere oscuro e conturbante esiste davvero e con proditoria astuzia agisce ancora: è il nemico occulto che semina errori e sventure nella storia umana».

Infine il 3 febbraio 1977, ancora durante l’udienza generale: «Non è meraviglia se la scrittura acerbamente ci ammonisce che “tutto il mondo giace sotto il potere del Maligno”».

Paolo VI parla spesso del demonio. E spesso lega la sua fi gura alla Chiesa. Perché? Forse perché vuole semplicemente ammonire la Chiesa, chiederle di essere prudente, di fuggire le tentazioni di Satana. Ma, a mio avviso, c’è di più. Paolo VI in qualche modo si accorge che Satana è dentro la Chiesa, forse addirittura dentro il Vaticano. E lancia l’allarme.

La seconda cosa che voglio dire riguarda un libro. Nel 1999 è uscito un libro che s’intitola Via col vento in Vaticano. L’autore, anonimo, era un monsignore della curia romana. Presto tutti seppero il suo nome, Luigi Marinelli. Prima della pubblicazione del libro Marinelli venne più volte a confi darsi con me. Era indeciso se pubblicare il libro o meno. Perché questa indecisione? Perché il libro è una collezione di aneddoti piccanti. Storie di carriere, arrivismi, avventure amorose. E anche riti e pratiche poco chiare, che si avvicinano al satanismo.

Certo, non tutto quello che c’è scritto in quel libro è vero, ma in gran parte lo è. Questo è il mio parere. Ora, questo libro, appena uscito, sparì dai banchi delle librerie. Il Vaticano fece comperare tutte le copie. E poi, cosa ancora più curiosa, l’uscita fece pochissimo chiasso sui giornali. Perché? Come fu possibile che rivelazioni così esplosive non scatenassero il solito can-can dei media? Diffi cile rispondere. Di certo c’è un fatto: questo libro conferma che quando Paolo VI parlava in qualche modo della presenza del demonio nella Chiesa non aveva tutti i torti. Doveva essere un allarme per la Chiesa, ma non lo fu.

Vorrei, in proposito, fare un esempio. Parlare di una vicenda relativamente recente nella quale, a mio avviso, quella parte minoritaria che dentro le sacre mura lavora per il male e non per il bene può aver preso il sopravvento. È la vicenda che prende il nome di Emanuela Orlandi.

Emanuela Orlandi è una ragazza di quindici anni, figlia di un dipendente del Vaticano, precisamente di un dipendente che lavora nella prefettura della casa pontificia, uno insomma che nel suo lavoro ha occasione spesso di vedere da vicino il Papa. Emanuela è una ragazza solare e vivace.

Improvvisamente il 22 giugno del 1983 scompare. Ancora oggi non è stata trovata. Scompare dopo essere andata a lezione di musica. Emanuela, infatti, suona il fl auto presso la chiesa di Sant’Apollinare in Classe dove c’è una sorta di con servatorio. Secondo le ultime informazioni raccolte prima della sua scomparsa, Emanuela sale su una macchina nera. Ma non è certo. È sicuro che alle 19.15 è stata vista per l’ultima volta da due compagne di scuola, in corso Rinascimento. Dopo di che di Emanuela non si sa più nulla, sparisce.

Pochi giorni dopo appaiono molti manifesti con l’immagine di Emanuela per tutta Roma e con l’appello perché chiunque l’abbia vista nelle ore precedenti o successive alla sua sparizione si faccia avanti.

Nei giorni successivi, e ancora nei mesi e negli anni successivi, si dice di tutto riguardo a questo rapimento.

Le tesi sulla scomparsa della povera Emanuela restano molteplici. Non voglio elencarle. Voglio soltanto dire cosa penso io. Premetto però che non parlo perché sono a conoscenza di fatti, ma parlo riportando quelle che sono le mie sensazioni. Le sensazioni che da subito ho provato quando ho saputo della scomparsa della giovane Emanuela.

Io penso che una ragazza di quindici anni non sale su una macchina se non conosce bene la persona che le chiede di salire. Credo che occorrerebbe indagare dentro il Vaticano e non fuori. O comunque indagare intorno alle persone che in qualche modo conoscevano Emanuela. Perché secondo me solo qualcuno che Emanuela conosce bene può averla indotta a salire su una macchina. Spesso le sette sataniche agiscono così: fanno salire su una macchina una ragazza e poi la fanno sparire.

Il gioco è facile purtroppo. Fanno salire in macchina la loro preda, la narcotizzano con una siringa e poi fanno di questa ragazza ciò che vogliono.

Beninteso, mi auguro che le cose non stiano in questo modo. Mi auguro che se davvero, come penso, di setta satanica si tratta, almeno questa setta non abbia nulla a che vedere con il Vaticano. Mi auguro che questa storia che sembra non fi nire mai fi nisca presto. Ma non mi esimo dal dire che spesso in tutto il mondo scompaiono giovani donne in questo modo. Può sparire una ragazza così vicina a un luogo che dovrebbe essere santo come è il Vaticano? Purtroppo sì. Perché Satana è ovunque.

www.ilfoglio.it/palazzoapostolico/6439
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“Le gravi ipotesi di padre Amorth sono ignorate dal Vaticano”





PIETRO ORLANDI
Intervista con Piero Orlandi alla vigilia della Marcia per Emanuela in programma a Roma. L’esorcista aveva parlato di festini e adescamenti da parte di un gendarme

GIACOMO GALEAZZI
CITTÀ DEL VATICANO
Pietro Orlandi, lei domenica guiderà un corteo a Roma per chiedere la verità sulla scomparsa di sua sorella Emanuela. Come si svolgerà la manifestazione?


«L'appuntamento è per domenica 27 a piazza del Campidoglio alle 9.30. Verrà appesa la gigantografia di Emanuela sulla facciata del palazzo del Campidoglio e dopo alcuni interventi, tra i quali quelli di Alemanno, Zingaretti e Veltroni, inizierà la marcia che ci porterà a S.Pietro. Marceremo in silenzio per Emanuela e per tutte quelle persone alle quali la giustizia è stata negata. La presenza di tanti comuni d'Italia è la dimostrazione che c'è un Paese onesto con un forte senso della giustizia che crede che valori come verità, giustizia e rispetto della vita siano fondamentali in una società civile. Credo che anche una semplice marcia può determinare l'inizio di un cambiamento nelle coscienze di chi ci governa e nella nostra chiesa».


La procura di Roma ha indagato l'ex rettore della basilica di Sant'Apollinare, monsignor Piero Vergari e sta interrogando persone informate dei fatti. Come valuta le novità dell'inchiesta?


«In maniera positiva. Mi auguro che questa collaborazione tra Vaticano e magistratura, dalla mia famiglia richiesta da anni perché decisiva per arrivare alla verità, sia dettata da una sincera e trasparente volontà di fare chiarezza».


In tutto il mondo i mass media stanno seguendo il caso Orlandi: spera che questa mobilitazione spinga a parlare chi in Italia e in Vaticano finora non lo ha fatto?

«Me lo auguro di cuore. Certo, la pressione dell'opinione pubblica in quest'ultimo periodo è stata determinante. Il tentativo portato avanti per anni nel cercare di far dimenticare e seppellire questa vicenda mi pare definitivamente fallito. Se c'è determinazione e volontà credo ci siano elementi, costituiti da anni di indagine, che possono portare quanto prima a conoscere tutta la verità su quanto accaduto a mia sorella. Quella della Santa Sede dovrebbe essere una collaborazione attiva, hanno le capacità per farlo. Emanuela è una cittadina vaticana e il primo Stato interessato a pretendere chiarezza deve essere il Vaticano».


Nella nuova edizione del libro "Mia sorella Emanuela" che lei ha scritto con Fabrizio Peronaci compare la trascrizione integrale del colloquio avuto con Alì Agca nel 2010. Quali indicazioni le ha fornito l'attentatore di Giovanni Paolo II?

«Ha fornito uno scenario che io credo sia giusto approfondire, se non altro per poter poi scartare questa pista senza lasciare dubbi in sospeso. Agca sostiene che mia sorella sia stata rapita da elementi del Vaticano, con la collaborazione del Sismi per il prelevamento e della Cia, per la gestione del sequestro. Parla anche di un ruolo dell'Opus Dei, mi ha indicato Villa Tevere, come loro sede, e consigliato di parlare con il cardinale Giovanni Battista Re».


Lei l'ha fatto?

«Sì, l'ho incontrato. Ha allargato le braccia dicendo di non saperne nulla. Poi mi fatto una sua ipotesi, legata ai servizi segreti dell'Est: che Emanuela sia stata rapita per evitare che Agca facesse i nomi dei mandanti dell'attentato al Papa».


Chi ritiene possa fornire elementi utili all'inchiesta? Si aspetta rogatorie alla Santa Sede per qualche ecclesiastico o gendarme vaticano?

«Non dovrebbero essere necessarie rogatorie. La collaborazione dovrebbe essere spontanea, dettata da quei valori che ci ha insegnato Gesù: verità e rispetto della vita».


Quale messaggio si sente di rivolgere alle tante persone che, a partire dai comuni italiani, la sostengono nella sua ricerca della verità?

«Grazie a tutti, di cuore. Questa solidarietà mi dà la forza di andare avanti. Non la dimenticherò mai».


Crede alla pista dell'adescamento sessuale indicata dal capo mondiale degli esorcisti, padre Gabriele Amorth?

«Credo che sia giunto il momento che le persone convinte che i fatti siano andati in un certo modo comincino a fare i nomi. Non basta dire: io credo, io ho sentito. Le dichiarazioni di padre Amorth sono pesantissime a prescindere che siano legate o meno a Emanuela. Parla con sicurezza dell'esistenza di festini e adescamenti da parte di un gendarme, e queste valutazioni dovrebbero essere subito preso in considerazione dal Vaticano. E' una questione morale che riguarda la credibilità della Chiesa. Sono rimasto colpito e imbarazzato difronte alle dichiarazioni recenti del segretario generale della Cei, secondo il quale i vescovi non essendo pubblici ufficiali non sono tenuti a denunciare fatti legati alla pedofilia. Queste parole non fanno bene alla Chiesa».

L'ispezione nella tomba del boss della Magliana, Renatino De Pedis a Sant'Apollinare ha aiutato l'indagine sulla scomparsa di sua sorella?

«Siamo in attesa che terminino le analisi sulle ossa. Qualora fossero negative, come spero con tutto il cuore, avremo tolto un dubbio che ci assillava da anni.

Quali sviluppi si attende? Crede che i cinque indagati saranno rinviati a giudizio?

«Mi aspetto che le indagini vadano avanti a 360 gradi e non escludo nulla. Valuterà la magistratura, nella quale continuo a confidare».


http://vaticaninsider.lastampa.it/homepage...i-15402//pag/1/
 
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view post Posted on 18/9/2017, 16:06     +1   -1
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Giallo in Vaticano: spesi 483 milioni per tenere lontana (e in vita) Emanuela Orlandi fino al 1997
Il giornalista Fittipaldi lo scrive in un libro: il Vaticano per 14 anni avrebbe pagato rette, vitto e alloggio per Emanuala Orlandi, "trasferita" a Londra. Ma il documento potrebbe essere solo un "falso"


Da un dossier che circola nella Santa Sede emerge che il Vaticano avrebbe speso quasi 500 milioni di vecchie lire per allontanare Emanuela Orlandi dall'Italia.

Ne parla il giornalista Emiliano Fittipaldi dell'Espresso. "Ho trovato un documento uscito dal Vaticano - scrive su Facebook - Ci ho lavorato mesi, e ho pubblicato un libro, 'Gli impostori', che uscirà tra qualche giorno. Il documento choc è un riassunto di tutte le note spese per un presunto 'allontanamento domiciliare' di Emanuela Orlandi. La ragazzina che viveva nella Santa Sede scomparsa nel 1983".

"Leggendo il resoconto e seguendo le tracce delle uscite della nota - prosegue il giornalista - che l'estensore attribuisce al cardinale Lorenzo Antonetti, sembra che il Vaticano abbia trovato la piccola rapita chissà da chi, e che abbia deciso di 'trasferirla' in Inghilterra, a Londra. In ostelli femminili. Per 14 anni le avrebbe pagato 'rette, vitto e alloggio', 'spese mediche', 'spostamenti'. Almeno fino al 1997, quando l'ultima voce parla di un ultimo trasferimento in Vaticano e 'il disbrigo delle pratiche finali'. Delle due l'una: o il documento è vero, e apre squarci clamorosi e impensabili sulla storia della Orlandi. O è un falso, un apocrifo che segna una nuova violenta guerra di potere tra le sacre mura".

Si torna quindi a parlare dei corvi che si aggirano nella Santa Sede. Il dossier, infatti, tira in ballo le gerarchie ecclesiastiche sulla fine della ragazza, che scomparse nel 1983. Qualcuno sembrerebbe accreditare l'ipotesi che la giovane sia morta nel 1997. Non ci sono riscontri e potrebbe essere uno squallido falso. La famiglia Orlandi per fugare ogni dubbio ancora una volta chiede al Vaticano di dare accesso a tutti i documenti in proprio possesso.

Dopo qualche ora arriva la replica del Vaticano. Il portavoce della Santa Sede, Greg Burke, definisce "falso e ridicolo" il documento pubblicato fa Fittipaldi, senza commentare oltre.

Poco dopo torna a parlare Fittipaldi: "Mi sono chiesto: chi avrebbe potuto scrivere questo falso? E' stato fatto nel 2014 oppure è un documento apocrifo fatto venti anni fa magari per ricattare? Bisogna capire se questo documento è stato fatto per capire chi si voleva colpire. Se è vera è una cosa di gravità assurda, è un documento verosimile e incredibile. Era importante pubblicarlo perché se è vero apre squarci impensabili, se è falso è sconvolgente perché vuol dire che è stato costruito ad arte un documento apocrifo per seminare


sconcerto; se il documento è uscito dal Vaticano vorrei chiedere come. Qualsiasi documento può essere falso ma questo era in una cassaforte del Vaticano. Se è un falso è un falso di un interno che conosce bene questa vicenda. Io ho faticato molto per avere questo documento".

"Ho avuto un incontro con Pietro Orlandi (fratello di Emanuela, ndr) prima della pubblicazione del documento - prosegue il giornalista -. Loro stanno aspettando. Io non so cosa pensino, li ho avvisati prima della pubblicazione. Loro sanno bene come era Emanuela, non posso dire se per ipotesi le abbiano fatto un lavaggio del cervello. Io penso che avesse un altro nome se il documento è vero".




fonte
http://www.ilgiornale.it/news/cronache/gia...ta-1442906.html


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Il presunto documento del Vaticano è visibile a questo link:

http://speciali.espresso.repubblica.it/pdf/Antonetti.pdf

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Oltre 483 milioni di lire spesi dal Vaticano per l'allontanamento di Emanuela Orlandi”
Un documento choc esce dalla Santa Sede. È il cuore di un libro-inchiesta di Emiliano Fittipaldi, “Gli impostori”. Se è vero, apre squarci clamorosi sulla vicenda della ragazzina scomparsa nel 1983. Se falso, segnala uno scontro di potere senza precedenti nel pontificato di Francesco. Ecco un'anticipazione
DI EMILIANO FITTIPALDI
18 settembre 2017
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“Oltre 483 milioni di lire spesi dal Vaticano per l'allontanamento di Emanuela Orlandi”
Prima di consegnarmi i documenti, la fonte aveva tergiversato per settimane. Nei primi due incontri, durante i quali avevo chiesto consigli su come raggiungere l’obiettivo, aveva escluso con fermezza di avere le carte che cercavo. “Le ho solo lette, se le avessi te le darei, figurati,” aveva chiarito seccamente di fronte alle mie insistenze. Non ero convinto che dicesse la verità, ma tentai le strade alternative che mi aveva indicato. Capii presto che era fatica sprecata, e dopo un po’ tornai alla carica.

Alla fine, al terzo appuntamento, la fonte ha ammesso di avere il dossier. “Te li do solo perché credo che sia venuto il momento di far luce sulla storia.” Al quarto incontro, avvenuto in un bar del centro di Roma, mi consegnò una cartellina verde. Me ne tornai a casa di corsa senza neanche guardarci dentro.

Appena varcata la porta del mio studio, la aprii. C’erano dei fogli: una lettera di cinque pagine, datata marzo 1998. È scritta al computer o, forse, con una telescrivente, ed è inviata (così leggo in calce) dal cardinale Lorenzo Antonetti, allora capo dell’Apsa (l’Amministrazione del patrimonio della Sede apostolica), ai monsignori Giovanni Battista Re e Jean-Louis Tauran.


Al tempo, Giovanni Battista Re era il sostituto per gli Affari generali della segreteria di Stato della Santa Sede; Jean-Louis Tauran era il numero uno dei Rapporti con gli stati, un’altra sezione del dicastero della Curia romana che “più da vicino”, come spiega il sito del Vaticano, “coadiuva il Sommo Pontefice nell’esercizio della sua suprema missione”.

Insomma, Re e Tauran erano nei vertici della Curia e, secondo l'estensore del documento, si sarebbero occupati direttamente della vicenda Orlandi. Il nome di Re era spuntato fuori già dalla lettura della prima sentenza istruttoria sul caso, firmata dal giudice Adele Rando nel 1997.

GUARDA E SFOGLIA IL DOCUMENTO DOSSIER SUL CASO ORLANDI



Se non lo visualizzate cliccate QUI

La presunta missiva di Antonetti, come molte altre a cui ho avuto accesso nelle mie inchieste sulla Santa Sede, non era firmata a penna. Alla fine, l’autore chiariva che non era stata nemmeno protocollata, “come da richiesta”. Leggo il testo della prima pagina tutto d’un fiato.

“Resoconto sommario delle spese sostenute dallo stato città del vaticano per le attività relative alla cittadina emanuela orlandi (roma 14 gennaio1968),”, è il titolo.

“La prefettura dell’Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica ha ricevuto mandato di redigere un documento di sintesi delle prestazioni economiche resosi necessarie a sostenere le attività svolte a seguito dell’allontanamento domiciliare e delle fasi successive allo stesso della cittadina Emanuela Orlandi.

“La sezione di riferimento, sotto la mia supervisione, ha provveduto a raccogliere il materiale attraverso gli attori dello Stato che hanno interagito con la vicenda.

“Moltissimi limiti nella ricostruzione sono stati riscontrati nell’impossibilità di rintracciare documentazione relativa agli agenti di supporto utilizzati sul suolo italiano stante il divieto postomi di interrogare le fonti, incaricando esclusivamente il capo della Gendarmeria Vaticana in questo senso.

“L’attività di Analisi è suddivisa in archi temporali rilevanti per avvenimenti e per spese sostenute.

“Il documento non include l’attività commissionata da Sua Eminenza Reverendissima Cardinale Segretario di Stato Emerito Agostino Casaroli al ‘Commando 1’, in quanto alcun organo a noi noto o raggiungibile è a conoscenza di quanto emerso e della quantità di denaro investita nell’attività citata. “I documenti allegati (197 pagine) al presente rapporto sono presentati in originale per la parte relativa ai pagamenti per i quali è stata rilasciata quietanza, sono presentati in forma di resoconto bancario le quantità di denaro utilizzate e prelevate per spese non fatturate.”

La lettera che ho in mano sembra, o vuole sembrare, un documento di accompagnamento a una serie di fatture e materiali allegati di quasi duecento pagine che comproverebbero alla segreteria di Stato le spese sostenute per Emanuela Orlandi in un arco di tempo che va dal 1983 al 1997. Scorro rapidamente le fredde voci di costo elencate. Delineano scenari nuovi e oscuri su una vicenda di cui si è scritto e ipotizzato molto, e su cui il Vaticano ha sempre negato di avere informazioni ulteriori rispetto a quanto raccontato e condiviso con i giudici italiani che hanno investigato in questi ultimi trentaquattro anni.

Il dossier sintetizza gli esborsi sostenuti dal Vaticano dal 1983 al 1997. La somma totale investita nella vicenda Orlandi è ingente: oltre 483 milioni, quasi mezzo miliardo di lire.

L’elenco riempie pagina due, tre, quattro e, in parte, cinque del rendiconto. La prima voce riguarda il pagamento di una “fonte investigativa presso Atelier di moda Sorelle Fontana”. La Orlandi, nell’ultima telefonata alla famiglia prima della sparizione, aveva in effetti detto che qualcuno le aveva proposto di pubblicizzare i prodotti di una marca di cosmetici, la Avon, durante una sfilata delle stiliste Fontana. Per la fonte, la Santa Sede aveva sborsato 450.000 lire. C’era un’altra spesa per la “preparazione all’attività investigativa estera” costata altre 450.000 lire, uno “spostamento” da ben 4 milioni di lire e, soprattutto, le “rette vitto e alloggio 176 Chapman Road Londra”.

Chi ha scritto il documento, come vedremo, aveva digitato male l’indirizzo: a quello giusto c’è la sede londinese dei padri scalabriniani, la congregazione dei missionari di San Carlo fondata nel 1887 da Giovanni Battista Scalabrini. Dagli anni sessanta gestiscono un ostello della gioventù destinato esclusivamente a ragazze e studentesse. Nel periodo 1983-1985, per le rette, erano stati versati 8 milioni di lire. Il prezzo giusto, mi dico, per ospitare una persona in quell’arco temporale (per dare un ordine di misura, nel 1983, secondo i dati storici della Banca d’Italia, lo stipendio medio di operai e impiegati era di circa 500.000, 600.000 lire nette al mese).

La prima pagina si chiude con i costi per l’“indagine formale in collaborazione con Roma” (23 milioni) e con la misteriosa “attività di indagine riservata extra ‘Commando 1’, direzione diretta Cardinale Casaroli”, per una cifra di 50 milioni di lire. Agostino Casaroli era il segretario di Stato che nella vicenda Orlandi ha avuto un ruolo importante, soprattutto all’inizio.

La nota, nella seconda e nella terza pagina, racconta i costi sostenuti per l’“allontanamento domiciliare” di Emanuela nel periodo “febbraio 1985-febbraio 1988”. Si elencano dispendiosi viaggi a Londra di esponenti vaticani di altissimo livello, soldi investiti per la “attività investigativa relativa al depistaggio”, spese mediche in ospedali e fatture per specialisti in “ginecologia”. Si parla di “un secondo” e di “un terzo trasferimento”, di decine di milioni di lire per “rette omnicomprensive” di vitto e alloggio.

Gli anni scorrono. Arrivo all’ultima pagina. Il documento segnala che il resoconto dei costi per le attività relative alla cittadina Orlandi e al suo “allontanamento domiciliare” si riferisce stavolta al periodo “aprile 1993-luglio 1997”. Le voci del quadriennio sono solo tre: oltre alle solite rette (con “il dettaglio mensile e annuale in allegato 22”) e ad altre “spese sanitarie forfettarie”, figura il capitolato finale. Mi si gela il sangue: “Attività generale e trasferimento presso Stato Città del Vaticano, con relativo disbrigo pratiche finali: L. 21.000.000”.

La lista finisce qui, ma in fondo alla quinta pagina il mittente aggiunge una postilla. “Il presente documento è presentato in triplice copia, per dovuta conoscenza ad entrambi i destinatari, si rimanda a documentazione allegata sulle modalità di redazione. Non si espleta funzione di protocollazione come da richiesta. APSA è sollevata dalla custodia della documentazione allegata presentata in originale. In fede, Lorenzo Cardinale Antonetti. Stato Città del Vaticano, A.D. 1998, mese di marzo giorno 28.”

Smetto di leggere. Il documento, che esce certamente dal Vaticano, anche se non protocollato e privo di firma del suo estensore, pare verosimile. Ma quasi incredibile nel suo contenuto. Dunque, delle due l'una: o è vero, e allora apre per la prima volta squarci impensabili e clamorosi su una delle vicende più oscure della Santa Sede. O è un falso, un documento apocrifo, che mischia con grande abilità tra loro elementi veritieri che inducono il lettore ad arrivare a conclusioni errate.

In entrambi i casi, il pezzo di carta che ho in mano è inquietante. Perché, fosse un documento non genuino, significherebbe che gira da almeno tre anni un dossier devastante fabbricato ad arte per aprire una nuova stagione di ricatti e di veleni in Vaticano. Chi e quando avrebbe costruito un simile documento, che come vedremo contiene dettagli, indirizzi, nomi e circostanze molto particolari che solo un soggetto “interno” alla Città Santa poteva conoscere così bene? Se non è davvero stato scritto dal cardinale Antonetti, chi l'ha redatto con tale maestria, e chi l'ha poi messo, anni fa, nella cassaforte della Prefettura?

Difficile rispondere ora a queste domande. Ma è chiaro che, se il documento fosse falso, la Gendarmeria guidata da Domenico Giani avrà parecchio da lavorare. Il report fasullo potrebbe essere rimasto nascosto per anni in qualche cassetto, mai usato (almeno fino ad ora) e infine dimenticato. O potrebbe essere stato costruito ad hoc più di recente, dopo il furto del marzo del 2014, e restituito dai ladri insieme ad altri documenti certamente veritieri. Ma se è così, perché monsignor Abbondi non ha detto davanti ai magistrati di papa Francesco che lo interrogavano sul contenuto del plico anonimo con i documenti rubati che era tornato, tra gli altri, anche un dossier sulla Orlandi che non aveva mai visto, e quindi forse fasullo? Perché ha parlato genericamente di carte “sgradevoli”?

È pure evidente, però, che il report non spiega chiaramente cosa sia accaduto alla ragazzina che amava le canzoni di Gino Paoli, né accusa con nome e cognome qualcuno di responsabilità specifiche sul rapimento e sulla fine di Emanuela. Per quanto incredibile, cerco di costringermi a pensare che il documento possa essere anche una lettera autentica. Il report di un burocrate, il cardinale Antonetti appunto, che rendiconta minuziosamente ai due destinatari tutte le spese sostenute per “l’allontanamento domiciliare” della Orlandi, spese divise per quattro archi temporali definiti. Una pratica obbligatoria nei servizi segreti di ogni Stato del pianeta: alla fine di un'operazione, anche quelle in cui vengono usati fondi neri, i responsabili devono presentare il consuntivo di ogni spesa effettuata ai superiori.

La missiva è “presentata in triplice copia”, come si usa fare da sempre in Vaticano anche per i documenti riservati (uno va ai destinatari dei vari dicasteri coinvolti, un altro resta nell'archivio dell'Apsa). Stavolta una copia è finita anche negli archivi della Prefettura degli affari economici, cioè il ministero della Santa Sede che aveva il compito di supervisionare le uscite dei vari enti vaticani. Non è una stranezza: nell'enorme armadio blindato che i ladri hanno aperto nel marzo del 2014 ci sono migliaia di documenti provenienti anche da altri enti vaticani. Tra cui, per esempio, le lettere di Michele Sindona spedite non in Prefettura, ma ai cardinali presidenti di pontifice commissioni.

Fosse veritiero, dunque, il rendiconto datato marzo 1998, pur in assenza delle 197 pagine di fatture, darebbe indicazioni e notizie sbalorditive che potrebbero aiutare a dipanare la matassa di un mistero irrisolto dal 1983. Perché dimostrerebbe, in primis, l’esistenza di un dossier sulla Orlandi mandato alla segreteria di Stato, mai consegnato né discusso con le autorità italiane che hanno investigato per decenni senza successo sulla scomparsa della ragazzina. Perché evidenzierebbe come la chiesa di Giovanni Paolo II abbia fatto investimenti economici importanti su un’attività investigativa propria, sia in Italia sia all’estero, i cui risultati sono a oggi del tutto sconosciuti. Perché il dossier citerebbe un fantomatico “Commando1” guidato direttamente da Agostino Casaroli, potente segretario di Stato della Santa Sede, forse un gruppo di persone composto da pezzi dei servizi segreti vaticani (il corpo della Gendarmeria ha funzioni di ordine pubblico e di polizia giudiziaria, ma svolge anche lavoro di intelligence per la sicurezza dello stato) che ha preso parte alle attività successive alla scomparsa della ragazza.

Ma, soprattutto, il resoconto diventa clamoroso quando mostra come tra il 1983 e la fine del 1984 il Vaticano, dopo indagini autonome, avrebbe investe in un primo “spostamento” la bellezza di 4 milioni di lire.

Da allora il campo da gioco dei monsignori che si sarebbero occupati della vicenda di Emanuela si sposta in Inghilterra. In particolare, a Londra.

Possibile che Emanuela Orlandi sia stata ritrovata viva dal Vaticano e poi nascosta in gran segreto nella capitale inglese? Se non è così, e se il documento è autentico, a chi la Santa Sede ha pagato per quattordici anni “rette vitto e alloggio” elencate in un report che ha come titolo “Resoconto sommario delle spese sostenute dallo Stato Città del Vaticano per le attività relative alla cittadina Emanuela Orlandi” e per il suo “allontanamento domiciliare”? Come mai nella nota sulla ragazza viene indicato che il capo della Gendarmeria del tempo, Camillo Cibin, avrebbe sborsato la bellezza di 18 milioni di lire, tra il 1985 e il 1988, per andare avanti e indietro da Londra? Chi sarebbe andato a trovare qualche tempo dopo il medico personale di papa Wojtyła, Renato Buzzonetti, insieme a Cibin, “presso la sede l. 21”, una “trasferta” da 7 milioni di lire? Perché e a chi, all’inizio degli anni novanta, il Vaticano avrebbe pagato spese sanitarie – come segnala ancora l'estensore dello scritto – per i controlli (o addirittura un ricovero) alla Clinica St. Mary, sempre a Londra? Chi è andata, sola o accompagnata, a farsi visitare dalla “dottoressa Leasly Regan, Department of Obstetrics & Gynaecology” dello stesso nosocomio un' unica “attività economica a rimborso” di cui il capo dell’Apsa non indica la spesa precisa, invitando a leggere i “dettagli in allegato 28”? (contattata da l'Espresso, la Regan nega di avere fatture a nome della Orlandi, e dice di non poter ricordare, dopo tanti anni, se ha curato una ragazza con le fattezze di Emanuela)

La storia, secondo il documento, non sembra finire bene. Perché la lista si conclude con un ultimo capitolato di spesa, sull' “attività generale e trasferimento presso Stato Città del Vaticano con relativo disbrigo pratiche finali”. Il trasferimento è il quarto segnalato nel report: chi viene portato in Vaticano? Perché nel luglio 1997 la “pratica” di Emanuela Orlandi viene considerata chiusa?

A metà giugno del 2017 capisco, dal Corriere della Sera, che qualcun altro è ha conoscenza del documento misterioso. La famiglia Orlandi ha infatti presentato un'istanza di accesso agli atti per poter visionare «un dossier custodito in Vaticano». Il quotidiano accredita che il fascicolo possa contenere resoconti di attività inedite fino al 1997, con dettagli anche di natura amministrativa svolta dalla segreteria di Stato ai fini del ritrovamento». Capisco che si tratta proprio del report che ho in mano. Il giorno dopo monsignor Angelo Becciu, sostituto per gli Affari generali della segreteria, nega l'esistenza di qualsiasi carta riservata: «Abbiamo già dato tutti i chiarimenti che ci sono stati richiesti. Il caso per noi è chiuso». Anche il cardinale Re interviene, assicurando che «la Segreteria di Stato» di cui nel 1997 lui era sostituto «non aveva proprio niente da nascondere.

Essendo uno dei due destinatari della presunta lettera di Antonetti, decido di chiamarlo, e domandargli se ha mai ricevuto quel report sull “allontanamento domiciliare” di Emanuela Orlandi, e se in caso contrario quello che ho in mano è un report apocrifo che vuole inchiodarlo a responsabilità che lui non ha. L'inizio del colloquio è rilassato. Appena gli leggo il titolo, il cardinale, senza chiedermi nulla nel merito del documento, tronca improvvisamente la conversazione: «Guardi io non so di questo. E mi dispiace non poterla aiutare. Sono qui con altre persone». Clic.

La mia ricerca è iniziata nel febbraio del 2017. Leggendo il libro di Francesca Chaoqui e dell'ex direttore della sala stampa del Vaticano Federico Lombardi. Quest'ultimo ricordava come un testimone eccellente del processo che mi vedeva coinvolto, quello su Vatileaks 2, aveva parlato di alcuni documenti trafugati. Il test era monsignor Maurizio Abbondi, capo ufficio della Prefettura degli Affari economici.

La parte più interessante del suo interrogatorio riguarda un misterioso furto avvenuto nelle stanze di quell’ufficio nella notte tra il 29 e il 30 marzo 2014.

Dopo mezzanotte, qualcuno si era introdotto nel palazzo senza rompere alcuna serratura dei portoni di accesso, aveva sgraffignato qualche spicciolo negli uffici delle congregazioni ai primi piani dell’immobile e s’era poi concentrato sulla cassaforte e su uno soltanto dei dodici armadi blindati nascosti in una delle stanze della Prefettura, al quarto piano del grande edificio che si affaccia su piazza San Pietro.

A don Abbondi, la mattina del 14 maggio 2016, i magistrati chiedono conto di quella singolare vicenda. Il prelato spiega che nell’ufficio esisteva “un archivio riservato che era sotto la responsabilità del segretario Balda”, custodito inizialmente “in un armadio in una stanza vicina a quella del monsignore”; aggiunge che “dopo il furto, l’archivio riservato venne piazzato direttamente nella stanza di Vallejo”. Quando il promotore di giustizia gli domanda cosa avessero rubato i ladri, Abbondi specifica che, se dalla piccola cassaforte “portarono via soldi e delle monete, dall’armadio blindato prelevarono invece dei documenti dell’archivio riservato… alcuni dei quali vennero poi riconsegnati in busta chiusa nella cassetta della posta del dicastero”.

Proprio così: alcune carte trafugate vennero rispedite in un plico anonimo, quasi un mese dopo lo scasso. Un dettaglio già raccontato da Gianluigi Nuzzi. Non solo. Il giornalista aveva pubblicato anche alcuni dei documenti restituiti alla Prefettura, tra cui diverse lettere mandate dal “Banchiere di Dio”, Michele Sindona, a esponenti delle gerarchie vaticane, oltre a missive con riferimenti a Umberto Ortolani, fondatore – insieme a Licio Gelli – della loggia massonica deviata P2.

“Cosa c’era nel plico?” chiede diretto il promotore di giustizia a don Abbondi. “Documenti di dieci, vent’anni fa, che di fatto non avevano più alcun valore,” risponde il prelato. “Nel riordinare i fogli dopo l’effrazione, vidi che gli atti contenuti nell’archivio non erano tanto relativi alla sicurezza dello stato,” ma a fatti che il monsignore definisce “sgradevoli”. “Sgradevoli,” ripeto tra me e me.

Riponendo il libro mi domandai se, come ipotizzavano Abbondi e numerosi esponenti della Santa Sede, restituendo alcuni o tutti i documenti trafugati, i ladri avessero voluto lanciare un avvertimento, una minaccia, o se il furto nascondesse in realtà altre motivazioni. Certamente vi avevano collaborato persone informate dei segreti della Prefettura, visto che i banditi, violando un solo armadio blindato, erano andati a colpo sicuro. Di certo Abbondi fa intendere ai magistrati vaticani che i documenti ritornati dopo il furto non sono diversi da quelli che lui sapeva essere conservati nella cassaforte.

Cominciai a leggere il volume della Chaouqui...Senza tanti giri di parole, la Chaouqui fa poi capire al lettore che, dalla discussione avuta quella mattina con il suo amico (i due in seguito diventeranno acerrimi nemici), aveva compreso che era stato lo stesso Balda a compiere l’effrazione, forse con il supporto di manovalanza esterna. Un’accusa pesantissima.

Balda, che era già stato sentito dalla Gendarmeria insieme ad altri dipendenti dell’ufficio, ha sempre negato ogni addebito...L’avvocatessa calabrese – che nel 2014, ricordiamolo, era membro della Cosea e lavorava negli uffici della Prefettura che ospitavano la commissione – è uno dei pochissimi testimoni diretti di ciò che avvenne negli uffici dopo l’effrazione. E, come aveva fatto monsignor Abbondi in tribunale durante la sua deposizione, decide di raccontare nel suo libro il momento in cui tornano le carte sottratte un mese prima. Ma se il prete aveva parlato genericamente di documenti “sgradevoli”, la Chaouqui entra nei dettagli, narrando in prima persona: “Alla fine i fascicoli ricompaiono, spediti da mano ignota agli uffici della Prefettura. C’è il dossier su un vescovo molto potente e sulle delicate questioni legate a un’eredità ricevuta quando era nunzio in Francia. Ci sono i resoconti delle spese ‘politiche’ di Giovanni Paolo II ai tempi della Guerra fredda e di Solidarność. C’è il carteggio tra il banchiere Michele Sindona e il faccendiere Umberto Ortolani, che il Vaticano avrebbe cercato in capo al mondo. C’è il file di Emanuela Orlandi e capisco il finale di una storia che deve rimanere sepolta”...

Ora ho deciso di pubblicare il documento. Avessero ragione Becciu e il cardinale Re, il documento sarebbe certamente un falso. Sarebbe importante capire allora chi sono gli impostori che l'hanno architettato, e per quali oscuri motivi la storia di una ragazza scomparsa nel 1983 venga ancora usata per ricatti e lotte intestine della città sacra. Ma se le verosimiglianze impressionanti delle note spese del dossier fossero confermate da nuovi elementi determinati, il Vaticano e i suoi alti esponenti avrebbe mentito ancora una volta. E gli impostori sarebbero loro.


fonte : http://espresso.repubblica.it/inchieste/20...0165?refresh_ce
 
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