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GUARDANDO IL CIELO, 4a parte

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view post Posted on 27/11/2004, 18:38     +1   -1
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GUARDANDO IL CIELO
4a parte

by Fox

Il giorno «C» e le comunicazioni infrastellari

Qualcuno potrà chiedersi: gli altri mondi saranno in contatto fra di loro? Solo noi siamo rimasti isolati? È difficile dirlo. Per ora noi dobbiamo accontentarci di stare in ascolto e di osservare, con i sempre più potenti telescopi a nostra disposizione, quelle stelle meravigliose e piene di mistero.
Durante il ventitreesimo Congresso internazionale d’astronautica, tenuto nell’ottobre del 1972, a Vienna, la CETI (Communication with Extra-Terrestrial Intelligence), ha emesso il seguente comunicato: «All’osservatorio radio di Green Bank, gli Americani hanno ripreso l’ascolto di segnali intelligenti con l’aiuto di un radiotelescopio di cinquantasei metri. Si tratta di un programma a breve termine che consiste nel provare nuove lunghezze d’onda e nello sperimentare altri metodi per identificare emittenti dirette da esseri pensanti. Non è che un programma di preparazione nella grande offensiva di cui possediamo già i mezzi e che speriamo di poter fare partire in un prossimo avvenire.»
Il giorno «C », ossia del «contatto», non deve essere molto lontano, ormai, a sentire il parere dei più grandi scienziati interessati al progetto.
«Il contatto con delle specie extra-terrestri è di fondamentale importanza per l’avvenire e la sopravvivenza dell’umanità», ha affermato il francese André Stoebner. «Senza questo contatto noi siamo condannati a morire e a scomparire.»
Di recente sono già stati avviati studi di notevole importanza per arrivare a captare eventuali «voci» intelligenti perdute nell’infinito; prima o poi arriveremo senza dubbio a stabilire una verità nell’universo che ci circonda, ma questo a patto che l’uomo non distrugga se stesso con l’arma nucleare. E questa la paura di tutti, e forse anche degli «stranieri» extraterrestri, che arrivano sul nostro pianeta di continuo per studiare, forse, le nostre intenzioni e le nostre mosse.
«Avremo verso gli anni ‘80 una prima piattaforma spaziale ad uso umano», ha profetizzato un monaco bavarese vissuto nel XVI secolo, «ma anche questa sarà motivo di dissidio, di lotte e di sangue...
Uno scienziato americano sfiderà il sole... Nel 2160 l’uomo raggiungerà il pianeta Venere, dove il Diluvio di stelle trasformò già da. tempo le città di corallo in una landa deserta... Nel 2200 l’uomo arriverà su Marte e anche qui non raccoglierà che cenere... Nel 2300 arriverà su Giove e non troverà che un filo d’erba bruciato dal sole...»
Il monaco profetizzava anche la fine del mondo per opera di un conflitto termonucleare, ch’egli chiamava «gloria del fuoco»: «E' tardi per alzare gli occhi al cielo. Tutto sarà fugace come un lampo. Tutto sarà violento come la folgore. La strada finisce alla sommità del colle. La quercia non è più che una canna marcia, come la vita dell’uomo, e al di là della quercia, la notte... La terra scivolerà verso il mare e trascinerà le genti. L’acqua sarà fuoco e nella fiamma si concluderà un tempo... Finalmente sulla terra ritorneranno a sbocciare gli ingenui fiori dell’età verde. La cicala sarà libera... Al fuoco seguirà la pace... Una pace solenne, maestosa, senza limiti, senza orizzonti... Sulle macerie.., quattro superstiti capiranno che tutto è stato un sogno amaro... Capiranno che la vita non è gloria, ma pace... La vita dell’uomo, animale viziato, è finita.»
Forse tutto ciò è già avvenuto; la terra secondo gli scienziati, ha avuto cataclismi terribili, avvenimenti di una violenza tale da provocare addirittura lo spostamento del globo. Ma è difficile pensare che sia stata la bomba atomica a provocare tali capovolgimenti. Una tavoletta reperita a Lhasa, accenna ad una «Stella Bal », che, «cadendo là dove oggi non c’è che il mare », avrebbe causato lo sprofondamento del favoloso continente Atlantide; ciò dovrebbe essere accaduto circa 12 mila anni fa e rientra nella tragedia umana che tutti i popoli tramandarono come «diluvio universale». Tradizioni eschimesi, lapponi e finniche assicurano che la Terra venne sconvolta in tempi remoti e che «il basso divenne alto» dopo un incendio universale. In America si racconta una leggenda simile alla narrazione biblica e presso i pellirosse i vecchi ripetono da secoli storie legate al diluvio.
Nelle piramidi egizie si sono trovati papiri che testimoniano quanto deve essere accaduto in una epoca di «fuoco e d’acqua»; «la Terra si rigirò come su un tornio da vasaio» e «il sole cessò di abitare l’occidente e splendette di nuovo ad oriente».
Due carte celesti dipinte sul soffitto della tomba di Semmut, architetto della regina Hatshepsut, rappresentarono per anni un rebus per gli scienziati. «Un personaggio che doveva avere ottime conoscenze di geografia e di astronomia non poteva incorrere in certi errori », sostenevano. Una delle carte, infatti, aveva i punti cardinali disposti nella maniera solita, ma l’altra segnava l’est a sinistra e l’ovest a destra. Più tardi la ragione venne compresa; la chiave per svelare il mistero fu trovata nella svastica, ossia nella «ruota solare» indiana. Questa simboleggiava il movimento del Sole visto dalla Terra, ma dopo il cataclisma prese due versioni: una con i bracci volgenti da ovest ad est, per significare la fortuna o, meglio, il ricordo di una età felice, quando il sole sorgeva da ovest per tramontare a est; e l’altra con la «girandola solare volta a sinistra» per rappresentare la triste condizione dell’uomo superstite dal diluvio.

Migliaia e migliaia di anni fa, da pianeti sperduti nell’universo, partirono le astronavi cariche di viaggiatori «alati» per portare sulla Terra leggi sconosciute e conoscenze incredibilmente perfette. Gli uomini le accolsero con timore e diffidenza e quindi come messaggi divini; per questo essi cercarono di lasciare una memoria duratura di quel passaggio. Questi astronauti spaziali non dovettero comunque riunirsi in un unico luogo; essi si accordarono, forse, ed ogni pianeta scelse un approdo più congeniale per poter civilizzare il mondo secondo un disegno preciso e prestabilito. Ecco quindi che ogni popoìo del pianeta Terra ebbe una fisionomia differente e consuetudini diverse pur narrando le stesse cose viste o vissute.
Potrebbe essere un’ipotesi verosimile; non si può infatti spiegare in altro modo come uomini della pietra o quasi possano aver dedotto certe astrazioni matematiche e appreso certi dati astronomici.
Talete, Anassimandro, Democrito, Platone, Pitagora, Eudosso e poi Aristotele, Callippo, Aristarco, Ipparco... Quanto stupore ha suscitato sempre la loro scienza, la loro fatica per arrivare a dare un significato alla volta stellata e per decifrare i suoi elementi essenziali... Eppure questo è niente in confronto a ciò che si sapeva mille e mille anni fa quando lo strumento scientifico non esisteva e l’uomo si doveva fidare dell’acutezza del proprio occhio, del proprio cervello, ma molto probabilmente anche di chi giungeva talvolta da lassù per spiegare quanto mai altrimenti si sarebbe potuto conoscere.
«Circa 15 mila anni fa», scrive infatti. F. Lagarde, uno studioso francese, «il sacerdote babilonese Kidinnu, astronomo e filosofo, conosceva i dati relativi al moto annuo del Sole e della Luna con una precisione superata soltanto nel 1857, quando ilansen riuscì ad ottenere cifre comportanti non più di 3 secondi d’errore. Più straordinaria ancora è l’esattezza dei calcoli dell’antico saggio circa le eclissi lunari: i metodi attuali messi a punto da Oppolzer compor¬tanti un errore di 7/10 di secondo d’arco per anno nel computo del moto solare; e le cifre di Kidinnu erano più vicine alla realtà di 2/10 di secondo d’arco. Il fatto che simili risultati siano stati raggiunti senza telescopi, senza orologi, senza la meccanica propria alle nostre osservazioni, sembra incredibile; a quel tempo l’Uomo di Aurignac tagliava ancora le sue pietre, incideva i suoi sassi.»
È stata fatta dell’ironia, fino a qualche anno fa, sul modo con cui gli Shilluk dell’Africa meridionale, una tribù ancora selvaggia, chiamano Urano; per essi è sempre stato «Tre Stelle ».
«Probabilmente questa gente vede triplo », si scherzava fra scienziati; senonchè nel 1787, sei anni dopo la scoperta del pianeta, l’astronomo Herschel si accorse prima di due, poi di ben altri tre satelliti che lo corteggiano.
Non si finirebbe più di portare esempi di tal genere; i Dogon, stanziati sulle scogliere di Bandiagara, nel Mali, conoscono il sistema di Sino e lo descrivono composto da tre stelle, una delle quali viene denominata Stella del Miglio perchè è la più piccola ed anche «la più piena ». «Essa è formata da un metallo più brillante del ferro e tanto pesante che un suo granello equivarrebbe a 480 carichi d’asino », sostengono da sempre.
«Le nostre nozioni in proposito non sono più esatte », afferma il professor Servier. «Un satellite di Sino battezzato Compagno venne scoperto nel 1862 da Clark ma, anche quando si trova nella fase per noi più favorevole, non lo si può scorgere che con l’aiuto d’un potente telescopio. La densità del Compagno èstata calcolata qualche anno fa e risulta essere 50 mila volte maggiore di quella dell’acqua, tanto che una scatoletta piena di tale sostanza peserebbe una tonnellata.
» Gli astronomi ammettono oggi che, oltre a Sino (chiamato Sirio A) ed al Compagno (Sino B) dovrebbe esistere nel sistema un altro astro, Sirio C; e sono ancor lontani dal giorno in cui potranno disegnarne le orbite, sia pur approssimativamente, come fanno i Dogon. E non sapranno mai se la materia di cui sono formate le stelle di questo sistema è realmente più brillante del ferro’, come affermano gli scienziati delle scogliere di Bandiagara...»
Dinanzi a queste nozioni straordinarie — da notare che i satelliti di Marte, scoperti nel 1887, erano noti persino ai Sumeri — il pensiero ricorre sempre più spesso a quegli antichi astronomi che dovettero anche dare il calendario ai Maya, a quei «Signori Dedzyan» della tradizione indiana che portarono sulla Terra il fuoco, l’arco e il martello.


Astronauti in missione

Reperti di culture estranee, sconcertanti, meravigliosi, continuano a venire alla luce durante gli scavi archeologici o i contatti approfonditi con un mondo considerato ingiustamente regredito o, comunque, non tecnologicamente allineato alle grandi potenze. L’ipotesi che la Terra sia stata esplorata da «esseri venuti dal cielo» e che da essi abbia avuto in dono conoscenze di altissimo livello, diventa sempre più plausibile ed accettabile anche da parte di insigni studiosi. La storia si intreccia con la leggenda e la leggenda con i miti e le fiabe. Ovunque, in un modo o nell’altro, si ritrovano gli stessi elementi di base e gli stessi richiami ad avvenimenti primordiali. Di recente, nelle grotte di Baian Kara Ula, ai confini settentrionali del Tibet, sono stati rinvenuti scheletri di individui dal corpo minuscolo e dalla grande testa, insieme con 716 «piatti» di pietra con iscrizioni che raccontano l'« odissea cosmica» di alcuni astronauti di statura molto piccola e tragicamente periti sul nostro globo. In tutta l’America centrale si incontrano animali fiabeschi dalle caratteristiche anatomiche curiosissime e che ricalcano in certo qual modo le mitiche figure della mitologia, e personaggi con elmetti complicati che gli indigeni hanno venerato come una razza «giunta dalle stelle ».
Ma ecco la teoria fantastica, che è anche l’affermazione consapevole, di Viatieslav Zaitsev, nato nel 1918, filologo all’Accademia di Scienze della Russia Bianca, a Minsk, e ricercatore appassionato di problemi e di enigmi del passato. Dopo aver raccolto per anni fatti misteriosi, partendo da avvenimenti biblici e riallacciandosi a scritti antichissimi da lui elaborati e tradotti, egli è giunto infatti a delle conclusioni stupefacenti: «sono certo, ormai », afferma, «che al principio della nostra era, una gigantesca nave spaziale proveniente da un altro sistema solare si fermò nell’orbita ed osservò a lungo quanto gli uomini facevano. Poi da questa nave si staccarono tre veicoli più piccoli con a bordo ciascuno un missionario-psicologo che fu fatto sbarcare nella zona terrestre sulla quale aveva avuto il compito di operare.»
Per lo scienziato russo non vi sono dubbi; in America Centrale il primo degli astronauti fu noto sotto il nome di Quetzalcoatl, in Asia Minore ebbe nome Gesù Cristo, e in Cina Djan Dao Riin.
«Queste tre figure leggendarie hanno tali rassomiglianze nel loro aspetto, nel loro comportamento e nel messaggio che portano, che il rapporto fra di loro è stupefacente», concorda anche Semitjov. Ma le prove di questa asserzione che, pur essendo scioccante, non toglie tuttavia nulla alla grandezza delle religioni, anzi, semmai le rende più convincenti, dove sono?
Le prove, secondo Zaitsev, sono migliaia. «Noi camminiamo in mezzo ad esse », egli ha detto durante un’intervista, «ma ci siamo cosi abituati, e siamo così poco interessati che non le rimarchiamo neppure.»
Lo scienziato sostiene che persino i monasteri e le cattedrali, con le loro torri e le loro cupole fanno pensare alle capsule spaziali e che i templi tendono verso il cielo come per arrivare agli dei, per indicare da dove essi giunsero e da dove forse torneranno per cercare di rimettere gli uomini sulla strada della pace.
Egli si dice convinto che gli «dei» non furono altro che uomini extraterrestri scesi dai loro pianeti su navi spaziali e che risalirono con l’aiuto dei missili.
«Esistono templi che rassomigliano moltissimo a missili spaziali », dice Zaitsev. «Guardate i minareti turchi, coi loro coni appuntiti, i loro ceppi a forma di cono fra i diversi piani’... E perchè si trovano sempre negli antichi scritti religiosi le descrizioni della discesa dal cielo degli angeli, del figlio di Dio, circondati da fiamma e fumo? E fiamme sono ancora menzionate quando ritornano in cielo...»

I tre astronauti arrivati sul pianeta Terra all’inizio della nuova era, si dichiararono salvatori del mondo e figli di Dio onnipotente. Quetzalcoatl, venerato dagli Aztechi «giunse da un luogo sconosciuto, nella direzione del sole nascente»; biondo, barbuto, vestito di bianco, la leggenda narra che faceva miracoli, dava prove di grande sapienza e giustizia. Quando parti, si innalzò in una colonna di fuoco promettendo di ritornare.
Djan Dao Riin, messia dei Cinesi, ebbe pressappoco le stesse caratteristiche. Gli scritti antichi assicurano che fu messo al mondo da una vergine, che fondò una nuova religione e che sali al cielo sotto gli occhi dei fedeli.
«Punto per punto, fino all’ascensione al cielo e alla promessa di ritornare, questi racconti coincidono in modo stupefacente con ciò che si narra di Gesù», conferma Zaitsev. «E se le indicazioni sull’epoca dell’apparizione dei tre salvatori sono un po’ incerte, esse non differiscono che di qualche decina di anni verosimilmente a causa di errori nei diversi calendari.
» Non esito ad affermare che questi tre uomini stranieri si trovarono sulla Terra nello stesso momento. E tutti e tre erano di origine extraterrestre.»
Secondo questa teoria, Gesù Cristo arrivò dunque da un altro pianeta per portare nell’Asia Minore la sua parola; la domanda che si è posto Zaitsev è stata quindi: la stella di Betlemme era una nave spaziale? Uno scritto apocrifo russo del XVI secolo, che traduce un testo originale latino del 250 d.C., dice:
«La stella di Betlemme fu osservata in numerosi paesi d’Oriente. Si costruivano dei piccoli osservatori sulle montagne dove gli astronomi si installavano per studiare il fenomeno celeste. Una notte la stella illuminò tutto il cielo, come un sole. Discese come un’aquila e si posò su di una montagna. Cristo discese da questa stella...»
La risposta all’enigma parrebbe venire da sè; i tre magi asserirono di aver visto la stella spostarsi da est a ovest, da nord a sud, ma calcoli recenti hanno accertato anche che nessuna cometa potè esser vista nell’epoca della nascita di Cristo. Un satellite, una nave che splendeva quand’era colpita dai raggi del sole e che scompariva se il cono d’ombra della Terra la inghiottiva? Pare di sì, almeno se vogliamo seguire nelle sue indagini storiche e nelle sue conclusioni lo studioso russo. Questi puntualizza il vuoto dei primi trent’anni di vita di Gesù, il silenzio, incolmabile anche dal mito e dalla leggenda, che circonda la sua infanzia, la sua adolescenza, la sua giovinezza...
«Non possiamo fare a meno di meravigliarci dell’ignoranza di quest’uomo », afferma inoltre, «sulle condizioni di vita quotidiana delle regioni in cui si trovava, dove si suppone che egli abbia vissuto tutta la sua vita. Gesù mostra di non conoscere gli usi ed i costumi giudaici, non rispetta il’ sabbato’, trascura la regola di non mangiare prima dell’apparizione della prima stella nel cielo della sera, non rispetta il digiuno. Cristo stupisce continuamente il suo ambiente con degli atti che nessuno di quegli uomini avrebbe commesso, come si comporterebbe uno straniero disorientato, mentre pretende di essere nato e cresciuto nello stesso ambiente. «Io son ben lontano dall’essere il primo che ha osservato questi fatti », dice Zaitsev. «Essi erano ben conosciuti in diverse sette religiose nei primi secoli della religione cristiana. Una di queste si chiamava Agnoete, dall’antico greco Agnoia, che significa ignoranza, conoscenza insufficiente. Questa setta e molte altre erano convinte che le condizioni terrestri disorientavano Cristo.»
Ma c’è una cosa ancora più degna di riflessione e che lo studioso russo ha scoperto: Cristo, benchè figlio di un semplice falegname, quindi di gente del popoio, parlava esclusivamente una specie di ebraico antico, come se avesse imparato la lingua su testi scolastici in disuso.

Gesù rimase sul nostro Pianeta per soli tre anni, ma la sua presenza è viva nelle leggi ch’egli ha dato al popoio, a tutte le genti che le vollero accettare e le compresero. Alto, biondo, talvolta bruno, ma con la pelle chiara, la leggenda dice che suscitò subito, al suo primo apparire, un’ammirazione e una adorazione profonda. Egli compiva miracoli, aveva una sapienza superiore a qualsiasi altro dotto. «Io vedo in Gesù non solo un uomo cresciuto in una civiltà assai evoluta, ma anche una personalità estremamente dotata », afferma Zaitsev, che rivela anche di aver appreso da antichi scritti monastici come Egli avesse l’abitudine di portare un piccolo astuccio nero legato ad una striscia di cuoio appeso al collo. «Quando saliva sulla montagna per parlare col padre celeste», dicono queste testimonianze, «Cristo teneva lo scrigno sulle sue ginocchia e raccomandava ai discepoli di stare in silenzio». Zaitsev allora si chiede: non poteva essere l’astuccio un apparecchio televisivo trasmittente e ricevente? Non arrivavano a Gesù astronauta le istruzioni del capo della spedizione spaziale? E i miracoli non potevano essere classificati come ipnosi di massa?
A dar ragione a questa tesi ci sarebbero anche degli antichi testi bulgari che narrano come gli angeli comunicassero con Dio attraverso delle antenne poste sulle teste. «In mano tenevano degli specchi sui quali Dio scriveva come sull’acqua.» La fantasia potrebbe avere il sopravvento e travolgere a questo punto anche le persone più lontane dai misteri che ci circondano e da quanto le stelle fino ad oggi ci hanno sempre negato. Ma non ci sembra giusto, dopo aver accennato alla tesi di Zaitsev, lasciare l’argomento a metà e passare oltre, ignorando che della stessa idea dello scienziato russo vi sono moltissimi altri uomini di pensiero, astronomi, filologi, studiosi di tutto il mondo.
«La missione extraterrestre venne preparata a
lungo per ridare al mondo sconvolto dalle guerre un ideale nuovo. La resurrezione di Gesù fu la pietra più importante, la base per l’espansione del cristianesimo», essi sostengono. E Zaitsev aggiunge: «Cristo non è morto sulla croce, svenne soltanto e gli angeli, ossia altri astronauti, vennero a prenderlo e lo salvarono perchè la loro conoscenza medica era straordinaria ».
A sostegno di ciò, egli ricorda che la resurrezione èstata descritta in diversi modi e che San Luca riferì che alle donne giunte sulla tomba la mattina del terzo giorno, due giovani in abiti abbaglianti (tute spaziali?) dissero: «Perchè cercate fra i morti colui che è vivo?»
In due illustrazioni del XVI secolo, inoltre, Cristo si innalza in una aureola dalla forma di aereo a reazione, circondato da una capsula ovale, abbandonando tre apostoli che paiono piegati da un soffio potente; uno è sdraiato con i piedi rivolti verso il velivolo e gli altri due si riparano gli occhi con le braccia alzate, mentre gli abiti si sollevano come per una ventata.
«E forse la partenza di un razzo che gli antichi artisti hanno cercato di riprodurre?», osserva Zaitsev. «Ciò pare fantastico, ma in fondo è forse più fantastico di altre descrizioni dell’Ascensione?»
Sempre dalla Russia, Eugen Semitjov a sua volta interviene: «Si ritrovano su molte icone, e in diversi scritti apocrifi, immagini simili di un velivolo che innalza Gesù al cielo. Un vangelo antico di seicento anni, scritto da due patriarchi russi, racconta che il Salvatore è stato innalzato al cielo da una nuvola e da una vettura di fuoco, e che questa vettura si innalzava, saliva più veloce, fino a quando nessun occhio umano potè più seguirla ».
Sono, queste, deduzioni piene di fascino; la ragione umana, spaventata dal dogma e dalla fede assoluta, accetterebbe con entusiasmo maggiore una verità riducibile e analizzabile nelle sue leggi. Ma fino a che punto è bene lasciarsi andare in un altro sogno, di
origine spaziale, questa volta, in attesa che venga una conferma da quella volta celeste senza fine che ci osserva da millenni e che ascolta forse i nostri sospiri, le nostre preghiere e le nostre lotte preparandosi ad un’altra missione sulla Terra? Le domande, troppe domande, sono rimaste senza risposta; Gesù, aveva realmente trent’anni quando venne sul nostro pianeta? Ed abitava davvero in un altro sistema solare?
«Molte cose fanno credere che Gesù ebbe un’esistenza anteriore, ch’egli visse e fu allevato in un altro mondo, assai evoluto», sostiene Zaitsev.
«Quando si fissò la sua età a trent’anni si trattò di una valutazione terrestre. Avrebbe potuto avere anche qualche centinaio di anni. La longevità terrestre non è una scala universale. Il viaggio per venire da un altro sistema solare ha potuto durare molto a lungo, ma se si è effettuato ad una velocità pari a quella della luce, bisogna tener conto del paradosso del tempo di Einstein.» Gli effetti della relatività avrebbero dunque prolungato le vite di Cristo e dei suoi compagni. Torneranno davvero come hanno promesso? Mentre noi ci affanniamo nel tentativo di riuscire a capire il mondo delle stelle, e costruiamo telescopi sempre più potenti per arrivare a vedere l’ossessività di infiniti corpi incandescenti, dei satelliti e dei pianeti, nello spazio corrono di continuo le onde attraverso le quali gli extraterrestri si scambiano messaggi ed esseri molto più evoluti di noi passano a velocità vertiginose per la volta celeste.


Il grande segreto di Marte

Carì Sagan, astronomo, fisico e geologo degli Stati Uniti, considerato uno dei più grandi ricercatori del nostro tempo, principale artefice, fra l’altro, della sonda marziale «Mariner 9», è convinto che non esistano uomini come noi nello spazio, ma una vita diversa, che potrebbe essere più progredita oppure molto inferiore alla nostra.
«Nel suo genere», egli dice, «l’uomo è unico. La serie di circostanze che ha determinato la sua creazione non ha potuto essere ripetuta altrove, nell’universo. E non credo neppure che esistano degli esseri che ci rassomiglino abbastanza per poter andare, per esempio, nel metrò di New York senza essere subito notati per qualche strano particolare.»
Altri scienziati, invece, sono di parere nettamente contrario. Essi fanno dei paragoni sostenendo che, come è stata possibile la nascita nel mare di creature differenti come il delfino — mammifero — il tonno, e il rettile ora scomparso, così si può pensare che «esseri dotati di intelligenza possiedano caratteristiche analoghe».
Frank Drake, collega di Sagan, dice: «Certe linee direttrici sono inevitabili: ci vogliono due occhi per vedere in tre dimensioni. Gli occhi devono essere situati vicino al cervello perchè la percezione luminosa segua la via più corta e più rapida. Il cervello deve avere un certo volume ed un certo peso perchè l’intelligenza si sviluppi.
» Gli occhi ed il cervello devono essere protetti da un cranio resistente, dove c’è la testa. La testa deve trovarsi in cima per permetterci di vedere di più. Ci vogliono gambe per spostarsi e braccia e mani per manipolare. Da queste esigenze naturali nasce un essere che ci rassomiglia; ed evidentemente, questo essere potrebbe avere più di due braccia».
Chi ha dunque ragione? Quelli che si dicono certi che l’unica forma di vita è quella del nostro pianeta, quelli che ammettono forme di vita assai diverse, quelli che escludono ogni possibile «contatto» di
intelligenze o quelli che, come il biochimico svedese Gòsta Ehrensvard sostengono una diversità di carattere assoluto? Professore all’università di Lund, Ehrensviird ipotizza, infatti, una specie di vita tecnologica — per cui sono necessarie due gambe, due braccia, ecc. — e un mondo intelligente che si estenderebbe su tutto un pianeta come un reticolato, un «supersistema» con dei centri di sviluppo energetico, un’officina gigantesca divisa in tanti piccoli laboratori locali.
Un universo popolato, esseri pensanti, la vita e la morte che si affacciano verso un abisso incolmabile di interrogativi sul principio e la fine totale. Mondi illuminati e mondi senza sole, stelle fisse e stelle che navigano in atmosfere che si perdono nel nulla. Voci che sono come il vento o come il silenzio stesso e che parlano da miliardi di anni per esseri che non riescono a sentire o ad ascoltare. Che sappiamo noi ancora di tutto questo? All’inizio dei tempi nemmeno sul nostro pianeta c’era la vita. Poi essa è venuta, insieme con le stelle e i pianeti e i soli, molti altri soli che forse riscaldano altre terre che altrove non sanno di essere state chiamate con altri nomi.
Il professor Robert Jastrow, astro-fisico, capo dell’Istituto degli Studi Spaziali della N.A.S.A., dice:
«Gli uomini sono il prodotto di avvenimenti che si sono verificati per un periodo di più di dieci miliardi di anni... Tutti gli altri pianeti che assomigliano alla Terra potrebbero essere masse di rocce aride, senza vita, spazzate da mari sterili... Ma le scoperte biologiche degli ultimi anni indicano che la vita può apparire spontaneamente su ogni pianeta ‘confortevole’ per evolversi verso forme di vita simili alle nostre...
» Ciò che è accaduto qui può accadere su altri pianeti, ma quali sono le probabilità? Nè un ragionamento teorico, nè un’esperienza di laboratorio hanno potuto dare una risposta chiara alla domanda... Nessuno scienziato in laboratorio può imitare l’evoluzione umana del pianeta Terra e non è certo in laboratorio che scopriremo se siamo soli nel nostro angolo dell’universo o se siamo gli abitanti di un pianeta assai comune in una galassia che ribolle di vita».
Robert Jastrow assicura comunque che la chiave del mistero spaziale si trova su Marte o su altri pianeti ove sarà possibile trovare tracce di forme anche primitive.
«Ecco perchè mandiamo delle onde verso Marte e proveremo ad inviare nel 1976 due robot ricercatori», ha dichiarato. «Ecco inoltre perchè progettiamo il viaggio, verso il 1980, di navi spaziali atomiche, con a bordo equipaggi... Se noi scopriremo che su Marte c’è vita, saremo sicuri che numerosi pianeti dell’universo sono abitati. Marte è freddo, secco, assai meno adatto alla vita della Terra, ma la vita non vi è del tutto impossibile. Si può immaginare che la vita esista nel clima rigido di Marte, e se ciò è vero, avremo un’idea delle immense possibilità della vita ed anche la chiave del più grande enigma del mondo: lo sviluppo della vita nell’universo.»

Circa due volte più lontano dal Sole e di volume inferiore a metà della Terra, Marte pareva un arido mondo solitario. Le speranze degli scienziati si erano affievolite da tempo, ormai: improbabile che lassù vi fosse la vita. Nel 1972, invece, una sonda spaziale americana, il «Mariner 9», fece delle rivelazioni sorprendenti. Su Marte vi era acqua sufficiente per permettere l’evoluzione della vita; burroni profondi,
serpeggianti, testimoniano un passato di piene torrentizie. Le immagini televisive trasmesse dalla sonda mostrano vulcani e vasti strati di ghiaccio; un paesaggio, quindi, tutt’altro che arido e piatto come si era supposto.
«Marte è diventato tutto d’un tratto mille volte più interessante di prima», disse Harold Musursky, capo geologo del progetto Mariner. «Queste scoperte inattese hanno dato nuove dimensioni alle auspicate possibilità d’atterraggio sul pianeta... Ora sappiamo che lassù la vita è possibile.»
Nel momento in cui il «Mariner 9» lo aveva raggiunto, erano incominciate le tempeste di sabbia che avevano coperto Marte di una spessa coltre grigia; poi la sonda aveva a poco a poco spazzato le superfici nascoste per rivelare i crateri, i burroni di 3000 metri di profondità, i segni di un movimento stagionale, di un’evoluzione che necessariamente porta, attraverso i millenni, a forme possibili di esistenza. «Marte è un mondo che pare vivere una vita propria e forme insospettate possono esistere sulla sua superficie», dicono gli studiosi. «Con pazienza, un giorno vicino troveremo senza dubbio la soluzione dell’enigma.»
Sapremo allora molto di più anche della nostra storia antichissima, di quella sulla quale c’è sempre stato il silenzio e il buio. I nostri ultimi 6000 anni noti, anche se analizzati e sezionati fino all’impossibile, non ci hanno risposto in merito alla nostra origine. Siamo veramente «nati» su questo pianeta o siamo venuti in epoche remote dalle stelle? Come siamo arrivati sulla Terra? E perchè? Non appena riusciamo a penetrare nelle viscere più profonde dei deserti, delle steppe, di zone abbandonate da millenni, facciamo delle scoperte sensazionali e sconvolgenti, scoperte che annientano ipotesi maturate lentamente
e con leggi scientifiche. Scavando in una miniera presso Treasure City, nello stato del Nevada, un minatore portò, ad esempio, alla luce un pezzo di feldspato grosso come un pugno; attraverso la pietra rotta si scorgeva un piccolo oggetto arrugginito e quando questo fu estratto ci si accorse con stupore infinito che si trattava di una vite di ferro di circa cinque centimetri! Un esame minuzioso compiuto a 5. Francisco confermò che sia il pezzo di feldspato, sia il suo contenuto, risalgono a molti milioni di anni fa, ossia prima ancora dell’esistenza umana accertata!

Una vite racchiusa in un fossile... Sembra una favola che voglia legare passato e presente e racchiuderli entro un unico cerchio di magico infinito. Il tempo che non ha valore, come non hanno valore la bellezza stupefatta di corpi che si muovono nello spazio e che a noi appaiono immobili ed estranei a tutto ciò che li circonda, affonda le sue radici in tutto questo immenso sconosciuto. E mentre ammiriamo questa vastità colma di onde che diventano sempre più lontane, ci chiediamo: Chi era Adamo? Da dove venne? Forse da un altro pianeta, come fantasiosamente e stato detto, per incontrare sulla Terra Eva, una fanciulla dell’età della pietra? O viceversa? Il Vecchio Testamento dice:
«Quando gli uomini cominciarono ad essere numerosi sulla faccia della terra e da loro nacquero delle figlie, i figli di Dio trovarono che le figlie degli uomini erano di loro gradimento, ed essi presero in moglie quelle che più piacevan loro... E le figlie degli uomini diedero loro dei figli...» (Genesi VI).
I figli di Dio, gli angeli, i figli dello spazio o del cielo non potrebbero essere degli astronauti provenienti da terre o da mondi più evoluti? «Certo», assicurano molti studiosi della Bibbia.
Un secolo prima della venuta di Cristo, nel libro di Enoch si narrava questo avvenimento: «I figli del cielo trovarono le figlie degli uomini attraenti. Il loro desiderio era colpevole, ma il loro capo tuttavia vi si sottomise e duecento figli del cielo scesero con lui sulla Terra...»
Sono in molti oggi a sostenere, fra gli astronomi, che una stella su due abbia una intera famiglia di pianeti e ciò significherebbe che nella nostra galassia, la Via Lattea, ci potrebbero essere cinquanta miliardi di sistemi planetari. Assurda quindi l’ipotesi che da qualcuno di essi abbia potuto arrivare una vita più evoluta della nostra?
«Ci aspettiamo segnali intelligenti da una stella su quattro», si dice fra i più ottimisti; gli altri pensano che solo una stella su un milione abbia potuto generare una vita intelligente. A noi, comunque, chi ha portato in diverse epoche tecniche e conoscenze assai progredite e in contrasto con il nostro stadio di primitività? Un giorno, che crediamo molto vicino, lo sapremo. È cominciata una nuova corsa allo spazio per le super-potenze. Unione Sovietica e Stati Uniti si sono dati appuntamento nel centro della Via Lattea. Chi arriverà per primo a stabilire il contatto con una civiltà sconosciuta? Chi riuscirà a tradurre il messaggio degli uomini di altri pianeti? Chi chiarirà il mistero ossessivo e meraviglioso insieme dei mondi che ci guardano e che molto probabilmente ci hanno già inviato dei «missionari»?

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Edited by Fox Mulder - 26/11/2007, 15:06
 
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