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GUARDANDO IL CIELO, 2a parte

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view post Posted on 31/10/2004, 14:21     +1   -1
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GUARDANDO IL CIELO
2a parte
by Fox

Torniamo dunque ai primi importanti astronomi della Grecia, la terra che raccolse con entusiasmo e perfezionò le esperienze e gli studi di civiltà più antiche. La figura di Pitagora occupa un posto di rilievo nel campo dell’appassionata ricerca della verità sull’universo, anche se il maestro, il grande matematico, non fu alieno da un certo atteggiamento mistico che condizionò il metodo scientifico delle sue esplorazioni. D’altronde, come abbiamo già detto, èdifficile trovare un astronomo, prima della fine del ‘700, che non si sia ad un tratto lasciato trascinare da
un sentimento profondamente religioso nei riguardi delle stelle. E' facile comprendere questo; basta infatti fermarsi ad ammirare i silenzi dì certe notti serene, d’inverno o d’estate, per sentirsi perdutamente attratti da un infinito che non è soltanto realtà fisica, ma anche e soprattutto palpito di emozioni, e speranza e bisogno di fede.
Pitagora ebbe l’intuizione della perfezione sferica e quest. fu la base di partenza per concludere che la Terra e i pianeti dovevano essere necessariamente rotondi; la sua scuola sostenne quindi con Filolao di Taranto (480 a 400 a.C.), che il nostro mondo non era posto al centro dell’universo; «esso non è che un pianeta e come tutti gli altri pianeti, ruota anch’esso attorno ad un fuoco centrale situato sul lato della faccia terrestre opposto a quello sul quale viviamo e perciò a noi invisibile» disse il discepolo di Socrate, e suppose anche l’esistenza di un’antiterra per equilibrare il sistema planetario.
Platone, che amò l’astronomia come l’esemplificazione della matematica, considerò le irregolarità dei movimenti planetari come incompatibili con la perfezione ideale dell’universo e perciò tentò di considerarli come il risultato di movimenti circolari semplici; Eudosso di Cnido propose invece la soluzione delle sfere omocentriche, secondo la quale tutti i corpi celesti ruotano con moto uniforme, trasportati da sfere aventi un centro comune coincidente con la Terra, concepita di forma sferica e al centro dell’universo.
Nel IV secolo a.C., Callippo di Cizico, che incominciò a scrutare il cielo e a disegnare tracciati e movimenti di astri all’età di quattro anni, aggiunse alle sfere di Eudosso, suo maestro, altri elementi. Egli era riuscito a rilevare, infatti, irregolarità che nessun altro aveva accertato nel moto dei pianeti.
La “lettura”, della volta stellata, patrimonio e privilegio, nell’antichità, di una casta di sacerdoti-filosofi-scienziati, divenne col tempo indagine rigorosa, matematica pura vincolata, tuttavia, o adattata, alle esigenze generali di un sistema di pensiero.
Aristotele accettò il dogma del cerchio e della sfera come forma perfetta; egli concepì quindi l’universo formato da una serie di sfere cristalline, aventi tutte il centro nella Terra, la cui atmosfera si componeva di «esalazione terrestre», acqua, aria e fuoco. L’etere, la sostanza misteriosa che il grande filosofo greco non seppe descrivere, doveva terminate la serie degli elementi naturali e dopo di questa venivano sette sfere corrispondenti ciascuna ad un pianeta. L’ottava sfera era quella delle stelle fisse: il tutto, racchiuso l’uno nell’altro, apparteneva al globo armonico guidato dalla forza divina.
Non è nostro compito quello di addentrarci nella profondità di queste teorie o di valutarne la portata. Noi vogliamo soltanto accennare ai pensieri che nacquero un tempo lontano o più vicino guardando la volta del cielo; fermarci a tratti sul cammino percorso in questi secoli da uomini che dedicarono tutta la loro vita alla comprensione di mondi lontani e irraggiungibili, ma ascoltare anche i loro sogni o quelle che sono state definite allucinazioni o fantasie impossibili.


Il cielo ci guarda

Da millenni l’uomo rivolge lo sguardo all’immensità che lo sovrasta e prega i suoi cieli e l’infinità delle sue stelle, senza comunque cessare di indagare sul perché di questo esistere lontano e apparentemente tanto perfetto. I risultati sono stati sorprendenti, al punto che oggi ci si chiede con sempre maggiore

cognizione di causa se non si possa stabilire persino un contatto con abitanti di altri pianeti; un contatto che pare sia sempre esistito a nostra insaputa o nostro malgrado.
Mentre noi ci affanniamo e tentiamo di arrivare a conoscere altre forme di vita, altri, probabilmente, sono in continuo ascolto delle nostre «voci» e ci possono scrutare e controllare proprio da quel cielo da noi analizzato e «letto» sino all’impossibile. Partendo da questa supposizione, dal 1931 si
cercato di creare nello spazio una fittissima rete di antenne in grado di determinare con esattezza la posizione di eventuali sorgenti radio di altri pianeti. In quell’anno, infatti, é nata la radio-astronomia, la scienza sorta soprattutto per l’ingegno di un giovane ricercatore dei laboratori della Compagnia Telefonica Bell, negli Stati Uniti: Karl Jansky. Questi aveva avuto l’incarico di studiare i fenomeni di interferenza che turbavano i collegamenti transoceanici, ma nelle perturbazioni di origine atmosferica aveva captato anche un rumore che pareva provenire da una determinata direzione spaziale, da un punto invisibile che sorgeva a est e tramontava ad ovest come il Sole.
«Le onde provengono dal centro della Via Lattea», aveva concluso Jansky, e la sua antenna radio orientabile aveva quindi scoperto che dal cielo giungevano delle vibrazioni che non avevano nulla a che fare con la luce. La ricerca dell’americano, anch’egli, come Adamski, di origine polacca, venne sfruttata da un ingegnere di nome Grot Reber di Chicago, che nel 1937 incominciò l’ascolto dell’universo con l’antenna in fogli metallici in forma di coppa, con un diametro di 10 metri, costruita nel suo giardino. In seguito, la guerra internuppe le esperienze, ma nel 1959 due professori dell’università di Cornell, Giuseppe Cocconi e Philip Morrison, elaborarono un

progetto in grado di captare i richiami interstellari e sul giornale scientifico inglese Nature pubblicarono calcoli e teorie di grandissimo interesse. « Forse in questo istante», scrivevano inoltre, «civiltà sconosciute cercano di mettersi in contatto con noi, mentre noi non ci preoccupiamo, pur avendo i meni per inviare ad essi i nostri messaggi»
I due scienziati rimasero delusi per Io scarso successo ottenuto presso il capo del grande osservatorio radio di Jodrell-Bank in Inghilterra, ma non sapevano che i! loro piano d’ascolto era già stato elaborato in tutti i dettagli da un giovane astronomo ed elettronico che sì era affrettato, subito dopo l’articolo uscito sul Nature, a scrivere loro: «Qui Frank Drake da Green Bank nella Virginia Occidentale: noi siamo sulla linea di partenza..»
Drake era stato ossessionato fin da bambino dall’idea che l’universo fosse popolato, ed era riuscito
a costruirsi un’antenna parabolica di 28 metri di
diametro per osservare sulla lunghezza d’onda di
21 cm eventuali segnali radio intelligenti provenienti
da civiltà più progredite della nostra.
In breve, i tre sì riunirono e prepararono il progetto OZMA, dal nome della principessa della fiaba “Il mago 0z”, che secondo loro avrebbe potuto dare la certezza delle loro supposizioni.
Alle 4 di un magnifico mattino d’aprile, nel 1960, gli astronomi, puntarono le orecchie metalliche del loro radiotelescopio verso una stella che stava per levarsi al di sopra dell’orizzonte, la Epsilon Eridani, a circa undici anni-luce da noi, che somiglia al nostro Sole e che dunque potrebbe avere pianeti simili alla Terra. Drake e i compagni speravano di captare segnali radio trasmessi undici anni prima e viaggianti attraverso lo spazio alla velocità della luce. Dopo qualche giorno, quando l’ascolto aveva incluso anche
la stella Tau Coti, i tre scienziati ebbero un sussulto dal cosmo arrivavano segnali intelligenti, forse la prima prova di vita di un altro mondo.
« Ci siamo», dissero stravolti dall’emozione. Poco dopo arrivava comunque la smentita: i segnali radio provenivano da un aereo smarrito.

*
* *

Mondi sconosciuti, civiltà remote e meravigliose, esperienze di viaggi esaltanti, di scoperte incredibili... Nella mente e nell’animo di ognuno di noi nascono interrogativi che si allacciano di continuo a realtà diverse ed a testimonianze sconvolgenti; solo che le necessità della vita vietano ai più di fermarsi sulle cose che forse rappresentano anche la soluzione di tanti enigmi storici, religiosi e sociali.
Nessun osservatorio radio sulla Terra ha ancora captato segnali provenienti da emittenti costruite da esseri intelligenti di un altro pianeta; eppure le ricerche continuano con fede incrollabile e con certezze matematiche tutt’altro che ingenue. La passione per l’astronomia ha raggiunto in certi paesi punte elevatissime; nell’unione Sovietica, ad esempio, l’amore per l’esplorazione stellare spinge moltissime giovani donne ad accettare l’isolamento delle stazioni dì ricerca nelle montagne del Caucaso o nel deserto della Siberia meridionale. Gli assistenti di grandi astronomi diventano sempre più numerosi.
«Guardiamo le stelle che ondeggiano come laghi lontani nella più nera profondità...», scrive Eugen Semitjov, che ha visitato i centri di ricerca russi e americani, «e ci domandiamo: ‘Da qualche parte, là in alto esistono esseri viventi, pensanti, combattivi come noi e così infinitamente piccoli? Ma dove? In questa o in quella direzione? Dove li troveremo?’...»

Gli astronomi pensano oggi che nella nostra galassia vi siano sistemi planetari; la Via Lattea è un vortice di centinaia e centinaia di miliardi di stelle, e attorno ad un gran numero di queste girano probabil¬mente altre Terre popolate... Da quale di queste in un passato lontano sono giunti degli esseri estremamente più civilizzati di noi? E da lassù che in secoli remoti venne la vita? Un brano dell’Antico Testamento lo fa pensare:
«Io guardavo: c’era un vento di tempesta che soffiava dal Nord, una grossa nube circondata da un barlume di luce. Al centro scorsi qualcosa, come quattro animali.., ognuno aveva quattro facce e quattro ali... » Nella Bibbia, in queste pagine che descrivono l’apparizione o, comunque, ciò che il profeta Ezechiele, vissuto 600 anni prima di Cristo, disse di aver visto, si legge ancora: «Le loro gambe erano dritte e i loro zoccoli assomigliavano a quelli del bue, scintillanti come rame lucente... Le loro ali erano dispiegate verso l’alto...; ognuno aveva due ali che si toccavano e due che coprivano i loro corpi; ed andavano in fila; andavano là dove lo spirito li spingeva. Ascoltai il rumore delle loro ali, come un rumore di grandi acque.. Quando si fermarono ripiegarono le loro ali, Al di sopra della volta che era sulle loro teste, vi era qualcosa come una pietra di zaffiro a forma di trono: e su questo trono, al di sopra, in alto vi era un essere che aveva sembianza umana...»
Era un aereo quello visto da Ezechiele?
Secondo il costruttore svedese Henry Kjellson, morto nel 1962 a settantun anni, ciò è molto probabile.
«Il trono in pietra di zaffiro fa pensare ad un abitacolo in plexiglass». ha affermato, <‘e l’essere con sembianza umana a un pilota con casco e occhiali: il

barlume di luce richiama l’idea del gas di scappamento di un motore a reazione odi un razzo.»
Kjellson, che ricevette l’Ordine dell’impero Britannico per essere riuscito a ricostruire l’arma segreta tedesca, il missile VI, studiando i relitti, e che fu un appassionato sostenitore della tecnica avanzata di culture esistenti migliaia di anni fa, analizzò anche profondamente i testi antichi e quindi la Bibbia.
«L’Antico Testamento è stato scritto in ebraico, in un testo senza vocali», ha sottolineato il professore al Politecnico. «Queste ultime sono state aggiunte 600 anni dopo Cristo quando l’ebraico era una lingua morta da circa 700 anni. L’interpretazione delle parole di Ezechiele deve essere quindi diversa»
Per «bue» il profeta voleva dire, quindi, «disco rotondo»; il testo avrebbe dovuto essere ripreso con « ... i loro piedi erano dischi rotondi», ossia ruote. Ed infatti, Ezechiele dice in seguito: «i cherubini spiegarono le loro ali e si levarono da terra davanti ai miei occhi.., e le ruote con essi». La parola ebraica «cherubino», significa qualche cosa che solleva; è nata da questo l’idea degli angeli provenienti dal cielo e di un mondo ultraterreno che sarà il premio degli uomini buoni? Si può spiegare così la presenza di aerei sul nostro pianeta duemilacinquecento anni fa?

*
* *


Negli scritti Ramayana e Mahabharata, in sanscrito, si legge che nel passato esistevano nelle Indie delle specie di apparecchi chiamati «Vimani»; solo i sovrani ed i principi potevano volare su questi aerei dal «corpo solido e resistente come un uccello, fatto in materiale leggero». Esiste anche un’incisione rupestre indù che rappresenta un velivolo con la forma di una cassa che vola ad di sopra di un palmeto e che somiglia al biplano di Farmarn,an dei primi decenni del nostro secolo.
“Per mezzo dei Vimani gli uomini possono volare nell’aria e gli esseri del cielo possono scendere sulla terra”, dice uno scritto Indù; ed ecco la prova che dalla volta stellata, nei tempi che furono, giunsero a noi degli esseri di altri mondi portando all’uomo
tecniche progredite. Solo cosi sostengono gli studiosi, è possibile accettare certe improvvise forme di civiltà assai elevata, corte conoscenze stupefacenti, certe realizzazioni che ci lasciano stupefatti e delle quali abbiamo testimonianze tangibili. Cinquemila anni fa, ad esempio, i Sumeri, che vivevano nella parte meridionale della Mesopotamia, sapevano dell’esistenza di nove pianeti del nostro sistema solare; noi abbiamo scoperto il nono nel 1930.
Chi portò dunque a questo popolo, all’origine primitivo, nozioni ditale portata? Chi li aiutò a sviluppare una cultura progredita in brevissimo tempo?
« Un essere sconosciuto proveniente dal mare», rivelano certi scritti sumerici. «O forse dal cielo?», si chiedono gli astronomi, ricordando la pila elettrica isolata trovata fra le rovine di duemila anni fa, in un vaso di terra, a Bagdad, e quelle portate alla luce vicino all’antica Babilonia, e la descrizione indù sul come fabbricare una batteria elettrica, ai tempi di re Urna, circa cinquemila anni fa. Henry Kjellson ed altri sostengono che tutto è esistito già sulla Terra e che da altri pianeti deve essere arrivata la scintilla del sapere; anche la bomba atomica pare sia stata conosciuta e, quello che è peggio, usata, in India. Ecco infatti ciò che ci è giunto da un passato lontanissimo «Drona usò allora l’arma dì Brahma, che fece tremare la terra, le sue montagne, i suoi fiumi e i suoi alberi, e venti violenti cominciarono a soffiare... Con l’arma di Brahma tu hai bruciato sulla
terra uomini disarmati. Questo non è giusto. Dimen¬tica quest’arma. Non deve essere impiegata contro i mortali. Se si lancia l’arma di Brahma, può essere distrutto il mondo intero. Essa ucciderà anche te insieme alle tue truppe... ».

Fine 2a parte
Continua.


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Edited by Fox Mulder - 26/11/2007, 15:04
 
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