| Non mancò neppure un inquietante vaticinio sul futuro del pianeta Terra, come da prassi frequentemente riscontrata nella casistica degli incontri con entità extraumane: "Volli inoltre sapere perché non ci facessero partecipi delle loro conoscenze tecnologiche e perché non rimanessero con noi per un certo tempo... Replicò che era impossibile per loro interferire con l'evoluzione di un altro pianeta; che trascorrere del tempo nel nostro sistema solare li avrebbe fatti invecchiare precocemente, e infine che non avremmo mai raggiunto il loro stadio evolutivo, per via della precarietà della crosta terrestre: in un prossimo futuro avverrà uno spostamento dei poli e questo produrrà una vasta apertura nella crosta terrestre, provocando cataclismi che distruggeranno l'ottanta per cento della popolazione mondiale, lasciando solo una stretta striscia di terra inabitabile per i superstiti." I pensieri del terrestre corsero quindi all'immagine di Dio, chiedendo allo straniero se un credo del genere esistesse anche sul suo lontano pianeta. Dapprima apparentemente confuso, l'essere rispose che per loro Dio è ovunque: nelle piante, negli animali, nelle rocce, nell'erba ed in tutta la natura esistente, e che da come ci si comporta verso quanto ci circonda, si ricevono determinanti influssi positivi o negativi. Nel frattempo il robot, cessato il proprio lavoro, era divenuto più piccolo, e sfiorando il terreno si era avvicinato alla parte inferiore del disco, in corrispondenza della botola dalla quale fuoriusciva una luce arancione. Con estremo rammarico Rizzi avvertì ché l'incontro stava volgendo al termine: "Venni preso dalla disperazione, pensando che non l'avrei più rivisto. Gli chiesi, lo supplicai di prendermi con loro... mi disse che non era possibile: il mio organismo non avrebbe sopportato le loro vibrazioni ed energie; allora, preso dalla disperazione, mi misi in ginocchio e piangendo lo pregai di darmi qualcosa di lui. Mi fissò con il suo meraviglioso sguardo, dandomi ancora quella sensazione di pace e tranquillità e nel contempo allungò il suo braccio destro, sfiorando la mia spalla sinistra, e mi sentii sollevare da terra come una piuma..." Contemporaneamente lo straniero amico indietreggiò lentamente, e alzando il braccio destro in direzione del terrestre, in segno di saluto, si portò al centro del disco, ponendosi di fianco al robot, e scomparendo in un fascio di intensissima luce. "In quell'istante una forza invisibile mi sospinse lontano dal disco: cercai di fermarmi ma era come se fossi trasportato di peso. Solo dopo circa duecento metri potei fermarmi. Con emozione mi misi a guardare la partenza, la luce bianchissima ovattata che avvolgeva il disco cominciò ad affievolirsi, i sostegni rientrarono... il rotore esterno prese a girare vorticosamente, silenzioso, la luce cominciò a divenire sempre più intensa... giunto ad un altezza di trecento metri, l'alone che circondava l'oggetto divenne bianchissimo, nel contempo udii come un fischio che mi ruppe quasi i timpani, e come una schioppettata si alzò in cielo verso Nord Est e sparì..." Brancolando l'uomo si portò alla sua auto, pizzicandosi più volte come per accertarsi che non fosse reduce da un comune sogno... Malgrado scosso e sconcertato, sentiva che quel giorno aveva aperto un capitolo completamente nuovo della sua vita. Improvvisatosi "field investigator", Rizzi fece più sopralluoghi nei giorni che seguirono sul punto dell'atterraggio, raccogliendo qua e là campioni vegetali e minerali, e scattando foto. "Con mia grande sorpresa - ricorderà - mi accorsi che sull'area ove era caduta la luce abbagliante, l'erba era cresciuta tre volte più alta rispetto a quella circostante." (4) A casa egli cercò inutilmente di rendere edotto il cugino della propria straordinaria avventura, ma questi, pur constatando in lui uno stato d'animo effettivamente alquanto atipico, reagì con una risata alla narrazione, insinuando che egli si fosse ubriacato. Riuscì peraltro a trovare pieno ascolto e fiducia da parte della figlia, che egli, allo scopo, raggiunse in California, ove si era trasferita. Deciso a divulgare la storia del suo contatto, con l'aiuto della congiunta, prese a spedire innumerevoli lettere a tutti gli indirizzi che comparivano sulle riviste americane dedicate agli UFO. Non ricevendo alcuna risposta, rientrò in Italia, del tutto rassegnato all'idea di dover tenere per sé la propria avventura, come avrebbe fatto per parecchi anni a venire. Ma l'incredibile avventura del Rizzi aveva trovato una curiosissima anticipazione in un episodio avvenuto parecchi anni prima, durante la guerra. Nel 1941/42, il nostro protagonista era di stanza a Rodi, in Grecia, ove prestava servizio come meccanico aeronautico e interprete per l'aeronautica italiana e tedesca all'aeroporto di Gadurra. Un giorno, su invito di una bambina che andava spesso a trovarlo al campo, si fece condurre in cima ad una montagna, dove dimorava un singolare personaggio, detto il "Santone", un vero e proprio eremita. Come l'uomo si avvide dell'arrivo dell'italiano, alzò la mano destra, in segno di saluto, proprio come avrebbe fatto lo "straniero" dai tratti felini parecchi anni dopo. E alla stessa stregua del misterioso Visitatore, il vecchio prese ad erudire il Rizzi con nozioni "fantastiche" agli occhi di quest'ultimo, parlando di un universo ricco di pianeti abitati, e della possibilità di viaggiare nello spazio con il proprio corpo astrale, superando in tal modo le enormi distanze cosmiche. Un singolare accenno fu dedicato dal "Santone" agli abitanti di tali mondi, alcuni dei quali, precisò, sarebbero in possesso di avanzatissime tecnologie date da mezzi di trasporto capaci di viaggiare con la velocità dei fulmini. "I vostri aerei - affermò - fanno ridere in confronto!" Su richiesta dell'ospite, il vecchio prese a tracciare per terra i profili di quelle macchine, a suo dire così straordinarie. Con spirito di distacco il Rizzi constatò fra sé che quei disegni descrivevano incomprensibili ed inverosimili ordigni circolari, che mai avrebbero potuto levarsi in volo in quanto del tutto privi di ali e di eliche... Intuito lo scetticismo dell'italiano, il vecchio concluse sorridendo: "Verrà un tempo in cui dovrai ricrederti..." tratteggiando così vagamente in quelle parole ciò che un giorno si sarebbe effettivamente verificato.
"Occhi brillanti nella notte" Verso le 21.30 del 9 dicembre 1962, il Sig Antonio Candau stava percorrendo a piedi una strada collinare di Bologna, la Via Codivilla, un vialone alberato, a quell'ora praticamente deserto, quanto a passanti e a traffico. Le condizioni di luminosità erano più che buone, grazie ad un cielo del tutto terso, anche se privo di luna, ed ad una fila costante di lampioni, disposti lungo il tratto in questione. Improvvisamente la sua attenzione fu colta da uno strano sibilo che proveniva dall'interno dell'adiacente parco di San Michele in Bosco. Volto lo sguardo oltre la cancellata, un'incredibile scena si spalancò ai suoi occhi: a circa una decina di metri di distanza un "disco volante", secondo la definizione all'epoca in voga per gli odierni UFO, stava prendendo terra. L'oggetto, dalla classica forma a scodella rovesciata, misurava circa nove metri di diametro, ed era di colore "grigio oro" o "argento bronzato". Numerose luci multicolori, simili a segnali stroboscopici, giravano senza posa, con veloce intermittenza, sulla parte superiore dello scafo. Il disco atterrò, apparentemente senza effetto alcuno, sul terreno e senza muovere il copioso fogliame circostante, fermandosi a circa un metro dal suolo, cosa che fece dedurre al testimone la probabile presenza di strutture di sostegno. Una volta ferma, la "cosa" distava non più di tre o quattro metri dall'osservatore, che pertanto disponeva di un'ottima visuale. Improvvisamente sulla sommità dell'oggetto, una specie di "portello" si aprì lentamente verso il basso, a mo' di ponte levatoio, scoprendo un vano interno emanante una luce chiara, che rivelava il. progressivo delinearsi di due sagome apparentemente di tipo umano: le figure era come se stessero emergendo da una specie di scala interna. Completamente ribaltato verso l'esterno, sino a toccare il suolo, il "portello" rivelò internamente una serie di gradini, sui quali i due esseri presero a scendere. La loro statura misurava circa un metro e 70, indossavano un'aderente tuta gialla, che evidenziava una grossa cintura in corrispondenza della vita; al fianco destro portavano un qualcosa di scuro, ingenuamente ravvisato dal testimone in una "ricetrasmittente". Privi di casco, procedevano affiancati in perfetta sincronia con movenze da automi, e mostravano possedere capelli alquanto corti e scuri, mentre i loro volti erano caratterizzati da "vistosi occhi che brillavano nell'oscurità come quelli dei gatti".
>>>CONTINUA
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